Adelphi e il “principio di complementarità” editoriale
Adelphi pubblica Giustizia di Friedrich Dürrenmatt, un romanzo quasi giallo dove un consigliere cantonale uccide un illustre germanista sotto gli occhi di tutti e poi ingaggia un giovane avvocato squattrinato perché tenti di dimostrare la tesi paradossale della sua innocenza. Gran bel libro, ma lo aveva già pubblicato Marcos y Marcos nel 2005 (e prima ancora Garzanti nel 1986). Dov’è allora la notizia? Una nuova traduzione? Neppure: è sempre quella, eccellente, di Giovanna Agabio. Stesso romanzo, stessa traduzione. E allora com’è che si ha l’impressione di leggere un libro diverso? La circostanza impone di riconsiderare una vecchia questione, a suo modo appassionante: che cosa accade, a un libro, quando entra a far parte del catalogo Adelphi? Perché qualcosa, questo è certo, accade.
La prima risposta, banalotta, rimanda all’universo proustiano degli snob e dei parvenu: Adelphi è il salotto dei Guermantes al quale sognano di essere ammessi tutti i libri-Verdurin di questo mondo. Un esempio a caso: Cristalli sognanti di Theodore Sturgeon, un classico della fantascienza pubblicato per la prima volta nella serie Urania Mondadori, entra nel cenacolo Adelphi e nella sua nuova veste pastello può guardare con sussiego i suoi ex compagni rimasti fuori con le loro copertine chiassose e pacchiane. C’è poi un’altra risposta molto ricorrente e molto malevola, diffusa parimenti nella sinistra scolastica e nella destra risentita, che si regge sulla ben più losca metafora del riciclaggio del denaro: certi capitali culturali di provenienza illecita – per lo più autori esoterici pubblicati solo da oscuri editori neofascisti – passano per il lavaggio Adelphi (una sorta di off-shore mitteleuropea) e diventano, per magia, spendibili in società.
La riedizione di Giustizia suggerisce però una terza metafora, e il lettore perdoni se dovrà assistere ancora una volta al miserando spettacolo dell’uomo di lettere che prende ispirazione, a vanvera, da quella meccanica quantistica di cui per definizione non capisce un accidente. Formuliamo dunque un “principio di complementarità” editoriale: i libri Adelphi possono esser considerati, a seconda del tipo di osservazione, come onde o come particelle. Sotto l’aspetto corpuscolare, Giustizia è lo stesso libro già proposto da Marcos y Marcos: non uno iota è cambiato. Se lo consideriamo sotto l’aspetto ondulatorio, però, tutto appare diverso: il romanzo di Dürrenmatt diventa una delle carte del solitario che Roberto Calasso gioca (in sanscrito stretto, c’è da giurarci) con la propria mente. È lui stesso, d’altro canto, a sostenere che l’arte dell’editoria è “la capacità di dare forma a una pluralità di libri come se essi fossero i capitoli di un unico libro”. E allora, se il Dürrenmatt di Marcos y Marcos era il ritratto sociale dai toni grotteschi di una Svizzera linda e perbenista che caccia sotto il tappeto i suoi torbidi traffici, dove i ricchi la fanno sempre franca e gli avvocatucci possono aspirare al massimo a una mansardina e a una Volkswagen, il Dürrenmatt di Adelphi appartiene a tutt’altro mondo. Qui leggiamo di nani e prostitute e pensiamo a Kafka, a Wedekind o a Nabokov; incontriamo frasi come “lo spirito scientifico andò in cerca di un delitto” e ci ronzano per la testa Heidegger, Zolla e Guénon; apprendiamo che il consigliere cantonale “doveva ricorrere a un assassinio per creare un nuovo ‘modello’” e siamo catapultati nell’India del sacrificio umano o nelle pagine di René Girard.
Il Dürrenmatt di Adelphi non è quello di Marcos y Marcos proprio come il Kant di Adelphi non è quello di Laterza, il Wittgenstein di Adelphi non è quello di Einaudi, lo Sciascia di Adelphi non è quello di Sellerio. La nuova cornice impone di leggerli come libri a sé stanti e, insieme, come glosse all’opera di Calasso; come corpuscoli ben definiti e come vibrazioni di quel grande moto ondulatorio che è il catalogo Adelphi. La notizia, a ripensarci, era tutta nella prima frase: Adelphi pubblica Giustizia di Friedrich Dürrenmatt.
Articolo uscito sul Foglio il 26 ottobre 2011 con il titolo La Giustizia di Dürrenmatt non era così profonda, prima di Adelphi
Com’è vero.
Io credo faccia parte anche della “omogeneizzazione” di collana: l’Adelphi è molto più conservatrice di altre case, sopratutto nlla Piccola Biblioteca. E poi, si sa, questa è la storia delle letture e dei capricci di Calasso. Hanno trovato, per fortuna, un archivio, ed ecco che ristampano tutto Gadda. Hanno fatto una collana unica per Sergio Solmi. Hanno ristampato Kafka, che era stampato ovunque. ma va bene così, ogni glifo di un Baskerville (http://en.wikipedia.org/wiki/Baskerville) è un zohar, ha mille sfaccettature.
aubreymcfato
ottobre 27, 2011 at 12:24 PM
Dottor Vitiello, l’Adelphi non è nuova a queste ‘mandragate’, scusi il francesismo. Tutto quello che passa dalle parti del patron, abate Calasso, è nuovo, anzi ancestrale, originario (non originale, badi). Specialmente quando i libri erano pubblicati anni prima da microcaseditrici di destra, per intenderci, mai e poi mai l’Adelphi si sognerebbe di citare l’edizione precedente. Lor signori, appartengono a quella sinistra snob e gnosticheggiante, artefici di una cultura militante ben diversa da quella costola ideologica marxista del Partito (leggi PCI) come si designava un tempo; il loro è un piano più sottile, ma sarebbe meglio definirlo subdolo: mutare le condizioni di una società, dal consumismo liberista selvaggio, al selvaggio che si libera dai consumi per autoconsumarsi.
Per inciso e per la precisione, posseggo almeno cento libri editi Adelphi, sol perché alcuni titoli li trovo solo da loro e a volte meglio tradotti. Non sempre copiano e incollano, questo va pur detto. Il Nietzsche di Colli e Montinari è esaltante e luminoso, così come i testi di Hillman, Meyrink ecc.. I meriti vanno sottolineati, così come le magagne.
Approfitto dell’occasione, come suol dirsi, per farLe i complimenti per la sua penna e per la ‘sostanza’ del suo pensiero. Se i giornalisti fossero tutti o quasi sulla stessa frequenza, cambierebbero il mondo… invece.
Angelo Ciccarella
ottobre 29, 2011 at 2:27 PM
Riflettevo proprio ieri sul “valore quantistico” di una pubblicazione Adelphi. Sono andato in libreria e ho comprato orgogliosamente “E gli ippopotami si sono lessati nelle loro vasche”, un esperimento letterario dei due amici William Burroughs e Jack Kerouac, inizialmente creduto perduto, finalmente tradotto in italiano da Adelphi. Da grande appassionato della Beat Generation, sono felice che la Adelphi, dopo aver accolto nella sua famiglia William Burroughs, abbia cominciato ad abbracciare con questo libro anche Jack Kerouac. Spero che questo aiuti la gente a leggere i suoi libri con maggiore consapevolezza.
Paolo Musano
dicembre 21, 2011 at 1:26 PM
http://www.ibs.it/code/9788891141347/fabbroni-danilo/superficie-opaca.html
DANILO FABBRONI
giugno 20, 2014 at 2:24 PM