Posts Tagged ‘Roberto Calasso’
Il Cacciatore Celeste. Piccola escursione venatoria
Alberi, driadi, animali, cacciatori in varie posture adornano gli affreschi nel salone del ristorante di uno dei luoghi più elusivi della letteratura occidentale, l’albergo dove Humbert Humbert possiede per la prima volta Lolita. Il nome sibillino che Nabokov volle dare all’albergo – The Enchanted Hunters, i Cacciatori Incantati – è un invito cifrato a leggere Lolita come un piccolo trattato di eros metafisico in forma di romanzo, forse la sola forma oggi possibile. Pochi hanno risposto al corno da richiamo di Nabokov setacciando fino ai margini più bui il terreno di caccia che era così offerto alle incursioni, e tra quei pochi Roberto Calasso, che al romanzo del predatore divenuto preda della sua preda dodicenne ha dedicato alcune delle sue pagine più felici. Leggi il seguito di questo post »
Hypnerotomachia Vitellii
L’altra notte non ho chiuso occhio, per colpa del ministro Franceschini. O meglio per mia imprudenza, perché il saggio non dovrebbe mai attardarsi su internet nella delicata fase ipnagogica: c’è il rischio che la mente individuale si impigli come una mosca nella vasta ragnatela delle fantasticherie generate da una mente collettiva e insonne, e che la pervagatio mentis contro cui ammonivano gli asceti si faccia così forsennata da gettarci nell’agitazione e nell’irrequietezza. E insomma, a farla breve, ho letto nel dormiveglia questo tweet del ministro: “Faremo la Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Un luogo dove raccogliere e conservare per sempre romanzi e racconti di italiani mai pubblicati”. Lì per lì non ho capito l’entità della minaccia. Speravo di cavarmela con una scrollata di spalle e una risata, davanti a questo grottesco analogo letterario dei cimiteri dei feti abortiti, e di assopirmi su una nota di buon umore. Ma poi i pensieri hanno preso ad associarsi ad altri pensieri, a proliferare con la rapidità di una colonia di batteri, e si è generato un vortice impossibile da contenere: di qui la notte in bianco, e due occhi sbarrati nel buio. Leggi il seguito di questo post »
Sul garantismo grammaticale (e sui dolcetti di Dacia Maraini)
In questi tempi civili e illuminati non sbattiamo più il mostro in prima pagina; piuttosto, sbatteremmo il presunto mostro in prima pagina, secondo le ipotesi degli inquirenti. È l’epoca del garantismo grammaticale, delle formule di attenuazione, delle perifrasi cerimoniose, delle frasi dubitative, degli eufemismi e delle litoti cortesi. Al cuore di questo galateo giornalistico dove la presunzione d’innocenza è ridotta a bienséance, a buona maniera da osservare, sta un tipo di condizionale che i linguisti, con un bel nome che pare preso dal codice penale, chiamano “condizionale di dissociazione”. È quello che consente di prendere le distanze da una notizia non ancora verificata: la donna avrebbe mentito sul suo alibi, ci sarebbe anche un complice, e così via. Non scopro nulla, è un uso ben noto nell’italiano giornalistico che si deve allo scrupolo di correttezza e ancor più alla preoccupazione di evitare querele. Ma leggendo la cronaca nera e la giudiziaria viene il dubbio che ci sia sotto qualcosa d’altro. Fate un semplice esercizio, ripercorrete gli articoli di questi giorni sul caso di Loris Stival, che per un garantista suscita crucci non certo solo grammaticali. Ebbene, se tendete l’orecchio sentirete, dietro ogni condizionale, un indicativo imbrigliato, o malamente camuffato. Si lanciano le congetture più spericolate, le illazioni più selvagge, si evocano a vanvera mitologia e psicoanalisi, si riscopre l’inventario degli stereotipi inquisitoriali, insomma si accusa e si lincia e si spettegola, ma lo si fa dietro lo schermo gentile di tutti quegli avrebbe e di quei sarebbe, illudendosi così di far cosa civile. Leggi il seguito di questo post »
Il dissoluto punito ossia Roberto Calasso
Il dissoluto punito ossia Roberto Calasso. Questo sì che sarebbe un buon titolo per un libretto d’opera. Tutto sta ad accordarsi su che cosa debba intendersi per dissoluto, e una prima risposta la si rintraccia nel dizionario dei sinonimi del Tommaseo: “Quando un corpo organizzato e comecchesia congegnato si scioglie in modo che sia distrutta l’organizzazione e il disegno di prima, dicesi che si dissolve, che cade in dissoluzione. (…) Di qui venne il senso traslato di dissoluto e degli altri derivati”. Dissoluzione è parola chiave per comprendere le tormentate relazioni diplomatiche della Adelphi con la vasta provincia della cultura italiana. La adottò per la prima volta, nel giugno 1979, un anonimo redattore di Controinformazione, rivista vicina alle Brigate Rosse (lo ricorda Calasso ne L’impronta dell’editore). L’articolo si intitolava “Le avanguardie della dissoluzione” e definiva la Adelphi “aurea struttura portante della controrivoluzione sovrastrutturale”. Il legnoso estensore guardava con preoccupata ammirazione quel catalogo di autori eccelsi e un po’ tenebrosi “al cui fascino si piegano devotamente i rivoluzionari stessi”. Il Don Giovanni editoriale, dunque, prima che dissoluto era dissolutore, e chissà che i brigatisti non avessero in mente il Verdampfen della nota frase di Marx ed Engels: “Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria”. Leggi il seguito di questo post »
Guardare le Polaroid di Moro. Da sordi
Sacrificare senza uccidere, liberare la vittima senza versarne il sangue, che stranezza è mai questa? Eppure, si racconta, i Tatari della regione di Minussink usavano sacrificare al dio del tuono un cavallo vivo: radunati in preghiera sul luogo del rito, gli toglievano le briglie e lo lasciavano correre via. Sarà che la “frezza bianca” evoca a suo modo l’immagine di una criniera, ma l’antico costume menzionato da Calasso nella Rovina di Kasch sembra illuminare la sequenza finale di Buongiorno, notte di Marco Bellocchio: Aldo Moro sciolto dalle briglie nel sogno catartico della sua carceriera-immolatrice. Da quella prigione. Moro, Warhol e le Brigate Rosse (Guanda) di Marco Belpoliti si chiude appunto sulla visione di Bellocchio, a segno che il fantasma del presidente cammina ancora tra noi: “Moro indossa sul pigiama da prigioniero il proprio cappotto e va a passeggiare indisturbato per la città aperta seguito passo dopo passo dalla musica dell’Aida verdiana”. A voler fare i pignoli, non è l’Aida, sono i Pink Floyd, nonché il Momento musicale n° 3 in Fa minore di Schubert, lo stesso che in E la nave va di Fellini era eseguito con dei bicchieri. Ma al di là delle pedanterie, il libro di Belpoliti va a comporre – accanto a Il corpo del capo e La canottiera di Bossi – un’ideale trilogia delle occasioni sciupate.
Adelphi e il “principio di complementarità” editoriale
Adelphi pubblica Giustizia di Friedrich Dürrenmatt, un romanzo quasi giallo dove un consigliere cantonale uccide un illustre germanista sotto gli occhi di tutti e poi ingaggia un giovane avvocato squattrinato perché tenti di dimostrare la tesi paradossale della sua innocenza. Gran bel libro, ma lo aveva già pubblicato Marcos y Marcos nel 2005 (e prima ancora Garzanti nel 1986). Dov’è allora la notizia? Una nuova traduzione? Neppure: è sempre quella, eccellente, di Giovanna Agabio. Stesso romanzo, stessa traduzione. E allora com’è che si ha l’impressione di leggere un libro diverso? La circostanza impone di riconsiderare una vecchia questione, a suo modo appassionante: che cosa accade, a un libro, quando entra a far parte del catalogo Adelphi? Perché qualcosa, questo è certo, accade. Leggi il seguito di questo post »
“L’ardore” di Roberto Calasso
Sulla copertina del nuovo libro di Roberto Calasso, L’ardore, si vede la scultura in pietra nera di una fanciulla in meditazione. È acefala, come certi sapienti vedici la cui testa, si tramanda, esplodeva in mille pezzi davanti a enigmi sacrificali irresolubili.
Il lettore occidentale certo non arriva a tanto, ma una leggera emicrania o una vertigine può coglierlo quando legge nello Satapatha Brahmana, trattato rituale che risale all’ottavo secolo prima di Cristo, di come gli Dei all’inizio dei tempi strapparono la pelle agli uomini per rivestirne le vacche: «Se si vuole risalire alle origini, questo è dunque lo stato naturale dell’uomo: lo Scorticato, come negli atlanti cinquecenteschi di anatomia».
Le due immagini – la tavola anatomica rinascimentale e la fanciulla senza testa – sembrano agglutinarsi a comporne una terza, certo cara a Calasso: l’uomo vitruviano decapitato di André Masson che figurava sul frontespizio della rivista Acéphale, dove sul finire degli anni Trenta Georges Bataille, Pierre Klossowski e Roger Caillois ragionarono di molte cose, ma soprattutto di Nietzsche e del sacrificio. Nietzsche e il sacrificio, appunto: il fuso e la rocca da cui Calasso va svolgendo il filo della sua opera fin dagli esordi di Monologo fatale.
Annus Mirabilis. Il Guvi Book Award 2009
Caspita, che annata d’oro! Per una volta, sono soddisfatto delle mie letture. E con gran pena sono riuscito a distillare due Top 15 (Narrativa e Saggistica), una Top 10 “di settore” (Extravaganzas) nonché una Caienna dove scontano la loro condanna i tre libri più insulsi letti nel 2009. L’esortazione d’inizio anno, che rivolgo per primo a me stesso, è ancora una volta questa: non farti dettare le scelte di lettura dai calendari degli editori e degli uffici stampa, dal ricatto dell’attualità, dal regno dell’adulazione universale (il cui rovescio è il combattimento dei galli) che domina il cosiddetto giornalismo culturale, dalla pressione di compagnie e circoletti, spesso amabili, che fanno leva sul senso di vergogna. “Ma come, non hai letto Tal de’ Tali?”. Ebbene no, non l’ho letto, non lo leggerò mai: la vita è troppo breve. Siate crivellati di lacune, con lo stesso orgoglio che il nobile Gruviera ostenta nel vostro frigorifero. Leggete i classici, e seguite le vostre ossessioni ovunque vi portino. Tutto il resto è enciclopedismo, snobismo, accademia, fighettismo letterario, o soggezione alla “fama”: che è poco meno che vento.
Se non vi fidate di me, fidatevi di Jonathan Swift: “Dei settemila scritti attualmente prodotti in questa rinomata città, prima che il sole abbia compiuto la prossima rivoluzione, non resterà l’eco di alcuno”. O di Joseph De Maistre: “Ma una raccomandazione mi resta da farvi, Signora, ed è che, all’epoca in cui viviamo, è più che mai necessario di stare in guardia contro la riputazione dei libri, visto che il secolo che tramonta rimarrà sempre segnato nella storia come la grande epoca della ciarlataneria in tutti i campi, e soprattutto delle fame usurpate”.
E ora, le classifiche (compilate, per pigrizia, in ordine sparso, in una notte quasi insonne: perciò non è detto che il numero sette sia meno bello del numero tre, eccetera). Leggi il seguito di questo post »
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