Guido Vitiello

Nel mercato (chiuso) delle idee

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I primi di aprile, mentre Mario Vargas Llosa teneva a battesimo il suo neonato La civilización del espectáculo, un altro libro compiva venticinque anni, The Closing of the American Mind di Allan Bloom, e Simon & Schuster lo festeggiava con un’edizione celebrativa; pochi mesi prima un altro libro ancora, L’état culturel di Marc Fumaroli, era diventato ventenne. Ebbene, dov’è il nesso? Si potrebbe dire che Vargas Llosa si candida a essere, per il mondo ispanofono, quel che Fumaroli è per il mondo francofono; e Fumaroli, a sua volta, è stato definito il Bloom francese. I bersagli polemici dei tre libri sono pressappoco gli stessi, salvo varianti regionali: l’oblio dei classici, la liquidazione dell’educazione umanistica e dei valori contemplativi, il declino della cultura alta, il relativismo come nuovo dogma e l’azzeramento delle gerarchie, il nichilismo soft come stile di vita, certe pestifere mode accademiche nate in Europa e dilagate in America, in testa a tutte il decostruzionismo. Simili i nemici, diversa l’accoglienza. Vargas Llosa, c’è da supporre, avrà vita facile: la sua polemica arriva tardi e non scalda gli animi, anche se le ragioni che la muovono non sono certo venute meno. Fumaroli, all’epoca, dovette affrontare qualche grana in più. Ma Allan Bloom, il grande snob conservatore allievo di Leo Strauss e amico di Saul Bellow, in quel 1987 si attirò addosso un inferno, che Andrew Ferguson rievoca nella postfazione alla nuova edizione.

Bloom aveva attaccato, tra le altre cose, il femminismo e gli studi postcoloniali. La sinistra accademica lo accusò di razzismo, elitismo, sessismo e omofobia. Fu, come disse Camille Paglia, il primo colpo sparato nelle “guerre culturali” d’America. E in Italia? Il libro di Bloom giunse in sordina (pubblicato da Frassinelli, riproposto vent’anni dopo da Lindau), come tanti altri che all’estero scatenano un putiferio e qui arrivano tardi, furtivamente, o non arrivano affatto. Perché? Un’ultima coincidenza può illuminarci: sempre in questo fatidico aprile 2012 è uscito Un breve viaggio e altre storie (Raffaello Cortina), libro postumo di Paolo Rossi, lo storico delle idee morto a gennaio.

Rossi, beninteso, non era e non voleva essere il Bloom italiano, era tutt’altro tipo di studioso, ma alcune delle sue polemiche – contro gli heideggeriani, i decostruzionisti o i fustigatori dell’etnocentrismo – non erano così lontane da quelle di Bloom. Nel 1989 Rossi aveva pubblicato, per il Mulino, un libro bello e cattivissimo che si chiamava Paragone degli ingegni moderni e postmoderni. Dopo qualche scaramuccia giornalistica e un duello con Vattimo su Repubblica, cadde dall’attenzione e scomparve per vent’anni dalle librerie. Nessuna congiura del silenzio, per carità. Ma l’impressione è che in Italia il mercato delle idee funzioni proprio come gli altri mercati – che non sia, cioè, un mercato: le posizioni dominanti si difendono ignorando cordialmente, finché è possibile, le voci che potrebbero insidiarle. E le “guerre culturali” non fanno comodo a nessuno.

Articolo uscito sul numero di maggio di IL.

Written by Guido

giugno 30, 2012 a 12:01 PM

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