L’incognita del cinepanettone
Partiamo da un’equazione politico-cinematografica di Curzio Maltese: «Il cinepattone è stato al ventennio berlusconiano così come i “telefoni bianchi” stavano al ventennio fascista». La migliore illustrazione satirica di questa formula è in Boris: il film (2011), costola cinematografica della serie televisiva omonima, dove c’è un regista che vuole trarre da La casta di Stella e Rizzo un bel film poetico-civile sul modello di Gomorra ma a forza di compromessi al ribasso finisce per girare un atroce cinepanettone a sfondo politico, Natale con la casta. La sceneggiatura comincia così: «L’Italia è il paese che amo…», come il videomessaggio della discesa in campo del 1994. Dunque, parrebbe di capire, il berlusconismo è stato un cinepanettone lungo vent’anni. Ma come sappiamo fin dai tempi della scuola, nelle equazioni c’è sempre un’incognita. Dov’è, in questo caso? Semplice: la x è proprio il cinepanettone. Perché quelli che ne parlano come di un concentrato del degrado italiano sono i primi che non si degraderebbero mai a vederne uno. Paradossale, vero? Si dice che in un film c’è l’essenza dell’Italia, ma questo non incuriosisce a sufficienza da spingere a studiarlo.
C’è voluto un irlandese, Alan O’ Leary, professore all’Università di Leeds e autore di Fenomenologia del cinepanettone (Rubbettino). O’ Leary è entrato in un cinema di Trastevere, a Roma, per vedere Vacanze di Natale a Cortina, ma già dal modo in cui gli inservienti lo hanno squadrato nel foyer, con tanto di risatine sprezzanti, ha dovuto constatare che lo spettatore del cinepanettone non gode in Italia di ottima reputazione. Lo scrittore Francesco Piccolo descrisse la platea di Natale a Miami come un «altro mondo», fatto di donne in pelliccia e famigliole di obesi. Insomma, il pubblico sbagliato per il film sbagliato. È una vecchia storia: per buona parte della critica italiana, il comico buono è il comico morto o in pensione. Totò prima, Sordi poi, sono stati derisi come maschere della volgarità e del qualunquismo prima di essere acclamati come interpreti del costume nazionale. Fatte le debite proporzioni (e che proporzioni) qualcosa di simile potrebbe accadere con Boldi e De Sica. Ma non si tratta di difendere il cinepanettone, si tratta di capirlo. E di accorgersi, come dice O’Leary, che è «una forma ambivalente che esprime impulsi sia progressivi che reazionari» e che molti stereotipi che lo riguardano non reggono alla prova dell’analisi.
C’è di più: il cinepanettone è stato spesso il solo canale attraverso il quale il cinema ha fatto i conti con l’attualità. Un esempio? Dopo vent’anni, il cinema d’impegno civile non ha ancora affrontato il nodo di Mani pulite. I Vanzina lo avevano fatto nel 1994, con S.P.Q.R. – 2000 e ½ anni fa. Certo, lo scontro tra il magistrato Antonio Servilio (Boldi) e il senatore corrotto Cesare Atticus (De Sica) non era proprio un’indagine storico-politica da film di Petri o di Rosi. Ma siamo seri, credete davvero che gli spettacolini itineranti di Travaglio valessero di più?
Articolo uscito su IL di maggio 2013.
Gli spettacolini di Travaglio sono terribili, ma non so davvero che senso abbia citarli parlando del brutto cinema dei Vanzina o di Oldoini. I tuoi paralleli con Totò e Sordi mi lasciano perplesso quanto quello di Maltese (che dubito peraltro muova da considerazioni critiche). La commedia all’italiana non ha avuto bisogno di rivalutazioni. I suoi sottoprodotti anni ’70, dal “decamerotico” alle avventure di Banfi o Vitali con le dottoresse, sì.
Sappiamo tutti come funziona. Qualche fanzine pugnettara rompe il ghiaccio, poi arrivano Marco Giusti e infine gli accademici. Qualcuno ci fa un libro e qualcun altro lo mette in bibliografia. Ci si fanno gli esami. E le tesi. E poi altri libri, preferibilmente Castelvecchi.
Non temere, nel giro di un lustro o due, accadrà anche con i cinepanettoni.
Nel frattempo mi domando se esista ancora qualcuno che veda il cinema in quanto cinema, e non in quanto oggetto sociologico.
Federico Gnech
giugno 26, 2013 at 2:50 PM
Lo stile di Travaglio (lo dico senza ironia, malgrado le apparenze) è una specie di Bagaglino manettaro ibridato con Topolino (Basettoni contro i Bassotti), dunque mi pare un paragone pertinente. Considera che il mio accostamento Sordi/Boldi contiene un inciso “fatte le debite proporzioni (e che proporzioni)”. Considera poi che la commedia ha avuto bisogno di rivalutazione, e come!, è una storia (critica) su cui si sono riempiti volumi. Considera ancora che i Vanzina sono figli (anche “carnalmente”, per via di Steno) della commedia assai più che dei sottoprodotti di cui parli (il cinepanettone deriva da lì, non da Lino Banfi o dal decamerotico, che avevano una vocazione assai meno “nazionalpopolare”, come si dice spesso a sproposito). E considera infine che i “cultural studies” arrivano prima dei Marco Giusti, o comunque indipendentemente da lui. Le fanzine pugnettare sono esistite per anni e decenni senza rompere alcun ghiaccio. Diciamo, semmai, che c’è voluto Tarantino. Quando Giusti, a Venezia, ha fatto la sua rassegna “Italian Kings of the B’s”, Tarantino era ospite d’onore, Barbara Bouchet madrina. L’onda viene dall’America, non dai pugnettari nostrani.
unpopperuno
giugno 26, 2013 at 3:01 PM
Hai ragione, ho scritto una fesseria sulla rivalutazione della commedia all’italiana, almeno se parliamo della primissima fase. Dopo ‘Una vita difficile’ o ‘La grande guerra’ la percezione cambiò molto, mi pare.
Non ho scritto che il cinepanettone provenga dai film anni ’70 con Banfi, e tuttavia, aldilà delle parentele illustri, il cinepanettone è molto più vicino a quella roba lì, e cioè agli stilemi della farsa o del numero da avanspettacolo – senza peraltro troppo talento. Certo, un qualche legame ormai esile con la tradizione il cinepanettone lo mantiene, nel senso che noi spettatori riconosciamo una tristissima involuzione della specie, iniziata ai tempi de ‘i nuovi mostri’ (che è già revival). Ma insomma, tutto si riassume nella frase: «mio padre ha inventato il neorealismo, mio zio ha ucciso Trotskij, io faccio ridere con le scurregge»
Attenzione che la rassegna di Giusti al Lido fu una pensata assai furba per mettere assieme generi e tendenze molto lontane, cioè Fulci e Margheriti con Nando Cicero, complice un divertito e inconsapevole Tarantino.
Comunque concordo sul fatto che dall’America, oltre a tantissime cose belle, arrivano anche tanti malazzi contagiosi (a volte importati dalla Francia).
Federico Gnech
giugno 26, 2013 at 3:49 PM
Eh, ma il problema è proprio nei cultural studies, per dirla con Bloom “I would say that there is no future for literary studies as such in the United States. Increasingly, those studies are being taken over by the astonishing garbage called ‘cultural criticism'”.
In tutto ciò, se si sopravvive alle secche del livellamento postmoderno, si può onestamente godere di perle come questa: http://youtu.be/ynVlkxhqJ_c
Davide Martirani
giugno 26, 2013 at 5:50 PM
Infatti quella rassegna fu un impacchettamento “stracult” di cose diversissime (per inciso: io c’ero, e ho visto “Non si sevizia un Paperino” sulla poltrona davanti a quella di Tarantino, che rideva rumorosamente rovinando la visione, con la Bouchet al fianco).
unpopperuno
giugno 26, 2013 at 4:05 PM
Pensa che io invece ho indicato la strada ad Antonello Fassari, che cercava un ristorante qui alle Zattere.
Federico Gnech
giugno 26, 2013 at 4:12 PM
Ma non sono d’accordo sugli stilemi. Una cosa è il cinema di genere che è sempre stato un po’ estremo e radicale, con un pubblico ben definito (che so, adolescenti eccitati e militari in congedo), altra cosa è il cinema per il “vasto pubblico”, in cui ci sono anche i cinepanettoni.
unpopperuno
giugno 26, 2013 at 4:11 PM
Vabbè ma ‘La liceale seduce i professori’ ti pare estremo e radicale?
Aggiungo un’ultima cosa sui Vanzina e il loro essere o meno legati alla vecchia commedia all’italiana. Avendo imparato il mestiere in famiglia, nessuno nega loro una grande capacità artigianale. Il loro limite sta nei loro tristi personaggi monodimensionali. Prendono uno stereotipo da cronaca di costume e lo affidano a un Boldi o a un De Sica sempre più svogliati. Pensa alla differenza abissale con un Verdone, che da quegli stessi stereotipi crea personaggi credibili, anche quando del tutto macchiettistici (eccolo il vero erede, se ne esiste uno, della commedia all’italiana). Nei dialoghi di Verdone, in certi dettagli minori che sono poi i più esilaranti, c’è un’attenzione direi ‘umanistica’ alla nostra realtà. I dialoghi dei Vanzina sono pura lettera, non sembrano pronunciati da umani, sgradevoli o meno che siano, ma da pupazzi.
Questa cosa diventa insopportabile quando escono dal vernacolare e davvero si perdono: i loro film ‘seri’ tra milanodabere e jet-set internazionale (‘Miliardi’) sono incommensurabilmente più brutti ed inutili dei loro cinepattoni.
Detto questo, salvo senza riserve ‘Ecceziunale veramente’ :)
Federico Gnech
giugno 26, 2013 at 4:46 PM
Sono d’accordo, ma anche Verdone si è da tempo vanzinizzato e usa stereotipi parlanti. Quanto alla “Liceale”, non dico sia estremo, ma è rivolto comunque a una nicchia di pubblico. E continuo a credere che scene come Alvaro Vitali che fuma una sigaretta col sedere siano ai limiti dell’avanguardismo.
unpopperuno
giugno 26, 2013 at 6:20 PM