Guido Vitiello

Come se fosse antani. Genealogia della superbia intellettuale

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portada-genealogi-soberbia-intelectualDel pensiero francese non si butta via nulla, neppure le bucce, ha commentato un mio sarcastico amico davanti all’ultimo opuscolo di Georges Didi-Huberman: Scorze. La francofilia degli editori italiani è cosa nota, eppure ci sono autori che faticano a varcare le Alpi, costringendo un povero incensurato come me a fare lo spallone. Proverò quindi a contrabbandare François George, saggista dai molti pseudonimi che nel 1979 pubblicò un pamphlet intraducibile fin dal titolo, L’Effet ’Yau de Poêle. De Lacan et des lacaniens. Incuriosito dalla nuova moda parigina, George si era intrufolato in un circolo che si riuniva il venerdì sera nella sala interna di un caffè del Quartiere latino per dedicarsi all’esegesi collettiva di Lacan. Non capiva un accidente e si sentiva un cretino, ma tra di loro i lacaniani sembravano intendersi a meraviglia, era tutto uno scambiarsi pensosi cenni di assenso. Il bluff rischiava di saltare quando il barbuto direttore del seminario gli chiese di commentare un passo piuttosto difficile; nel panico, George improvvisò qualche frase a vanvera (qui diremmo una supercazzola) ed era pronto a farsi sbattere fuori nella riprovazione generale. “Ma a poco a poco, mi accorsi che le mie parole, lungi dal suscitare scandalo, cadevano in un silenzio interessato, e constatai una cosa meravigliosa: senza capirmi io stesso, parlavo in lacaniano”. Il direttore gli prospettò perfino un fulgido avvenire nel circolo. Da cretino, George passò a sentirsi un impostore. Seguivano duecento pagine sul lacanismo come scuola esoterico-pitagorica, e su quel gergo ripugnante che valeva, a un tempo, da strumento di dominio intellettuale, da repertorio di parole d’ordine per i membri della confraternita e da arma di seduzione, o di intimidazione, presso la gente colta. Tutte cose che hanno a che fare con il potere più che con la conoscenza.

Fortuna che, a differenza di François George, lo scrittore messicano Enrique Serna abbia già trovato qualche canale di diffusione in Italia, perché il viaggio del contrabbandiere dalla Sierra Madre sarebbe stato alquanto oneroso. C’è dunque speranza di veder sbarcare qui il suo saggio Genealogía de la soberbia intelectual, pubblicato di recente in Messico dall’editore Taurus, e c’è ragione per augurarselo. L’idea di fondo, affine al libello sui lacaniani, consiste nell’illuminare “il tratto di parentela tra il moderno libero pensatore e le antiche caste sacerdotali”. Vasto programma, che l’umorismo di Serna riesce appena a riscattare dal pericolo, sempre incombente, dell’enciclopedismo. È un continuo andirivieni tra i brahmani e gli heideggeriani, tra gli scribi egizi e la schiatta poetica di Mallarmé, tra gli antichi oracoli e i nuovi mistagoghi accademici. Non una storia ma appunto una genealogia, nel senso di Nietzsche. Si tratta di osservare all’opera gli espedienti e i sotterfugi attraverso cui la superbia intellettuale afferma, nei secoli, la propria volontà di potenza, elevando bastioni di ogni sorta: sistemi di scrittura impenetrabili, gerghi oscuri, segreti gelosamente custoditi, disprezzo ostentato verso il volgo profano. “Lascia che il saggio parli al saggio, perché l’ignorante non può capire” era la frase con cui gli scribi mesopotamici chiudevano i loro testi. Formula paradossale (l’ignorante sbeffeggiato non avrebbe mai potuto leggerla), che rivela però un’ambivalenza perenne: “Se l’intruso è idiota per natura, perché i sapienti prendono tante precauzioni per metterlo in fuga? Per timore di essere mal compresi o per paura di vedersi strappare i propri tesori?”. Qualcosa cambia quando allo scemotto mesopotamico, diciamo pure la casalinga di Uruk, si sostituisce la mala bestia dell’opinione pubblica: si inaugura allora un grande festival del risentimento, a cui Serna dedica le sue pagine migliori.

Tesi non nuove, certo; illustrate però da un campionario di esempi e di aneddoti che da solo vale un viaggio clandestino dal Messico. Ma è prudente fermarsi qui, prima di mettere in allarme la polizia di frontiera.

Articolo uscito sul Foglio il 22 febbraio 2014 con il titolo Come se fosse antani

Written by Guido

febbraio 23, 2014 a 4:44 PM

9 Risposte

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  1. mistagoghi con scappellamento a destra, I suppose

    david

    febbraio 24, 2014 at 4:04 PM

    • Molti a destra, molti a sinistra, e molti a sinistra ispirati da mistagoghi di destra, e viceversa. Il brahmanesimo è bipartisan.

      unpopperuno

      febbraio 24, 2014 at 4:15 PM

  2. acc. adesso devo spiegare quella che voleva essere una battuta, così a) se Lei la aveva già capita faccio la figura del cretino io; b) se la battuta non è riuscita faccio di nuovo la figura del cretino io; comunque:
    volevo sottolineare che è da heautontimorumenos mettere in una damnatio supercazzolae un sostantivo come mistagogo;
    il lato dello scappellamento era dovuto solo al rispetto filologico della supercazzola,
    mi rendo onestamente conto che i miei polemici precedenti possano aver portato a fraintendimenti e colgo l’occasione per ringraziarLa perchè ho imparato una parola nuova.

    david

    febbraio 24, 2014 at 4:38 PM

    • Ammetto, non avevo capito! Ma mistagogo è proprio la parola che usa Serna nel libro, e forse ne ho sopravvalutato l'”ordinarietà” perché in passato ho dovuto occuparmene molto, per il saggio introduttivo a un libro di Fritz Mauthner (che tra le altre cose ricostruisce la storia di quel termine). Ad ogni modo, la supercazzola di cui parlo è data più dalla struttura del discorso e dalla creazione di neologismi inutili che non dalla ricercatezza del lessico. Lacan parla e scrive uno schifo, ma forse non avrebbe usato “mistagogo”.

      unpopperuno

      febbraio 24, 2014 at 4:51 PM

  3. Ho di recente preparato un esame di metodologia dell’analisi filmica e Lacan me lo sono ritrovato dappertutto, un prezzemolino veramente indigesto. Tanti ragionamenti incomprensibili basati sulla teoria dello specchio, la sutura, l’inconscio strutturato come linguaggio (che però manca di significato), etc.
    La cosa più frustrante è stata cercare di venirne lo stesso a capo, pur avendo la sensazione di essere preso in giro. Ho davvero rischiato di odiare il cinema.
    Ma secondo lei, i fautori di queste teorie davvero ci credono a quello che scrivono o è in gioco solo il potere di cui si parla nell’articolo? Perché io ho la sensazione che magari ci marciano anche, ma ancora di più ne sono convinti.

    J.A. Happolati

    febbraio 24, 2014 at 5:46 PM

    • Mio Dio, la sutura, che cosa mi ha ricordato! Io direi che ci credono, e che spesso con questo armamentario orribile dicono anche cose intelligenti. Alcuni di loro li considero degli sfortunati, in un certo senso: menti brillanti nate e cresciute in un ecosistema culturale inquinato. Quanto meno una sfortuna per i loro lettori, che devono farsi strada in quella selva di gerghi, o far finta di capire. Per altri, al contrario, è stata una fortuna: agganciarsi alla moda giusta ha consentito a degli ingegni men che mediocri di emergere e pontificare. Ma resto dell’opinione di Ortega: la chiarezza è la cortesia del filosofo. In questo senso, Lacan è un cafone. Quanto ai film studies, le consiglio di guardare fuori dalla Francia, e fuori da quella parte di America che si è fatta colonizzare dalla Francia.

      unpopperuno

      febbraio 24, 2014 at 6:04 PM

      • Io non sono un lacaniano, ma mi pare che l’argomento dei seguaci cazzari non si debba ripercuotere sul maestro, altrimenti la maggior parte dei maestri starebbero freschi. Inoltre, c’è una retorica delle ‘idee chiare e distinte’ e ancor peggio del ‘parlare come si mangia’ che è altrettanto perniciosa dell’altra, quella pitagorica e oscurista. A volte le cose difficili richiedono un linguaggio difficile, a volte il linguaggio saggistico è una sfida a propria volta, un appello al nostro impegno a penetrare nell’opera con tutta la concentrazione di cui siamo capaci. Quello dell’assoluta trasparenza del linguaggio, poi, della sua assoluta transitività, dell’annullarsi del significante nel significato, è un mito ‘cartesiano’ del quale chiunque abbia una qualche esperienza di pensiero e di espressione non può che dubitare, e ancor peggio una scusa per castrare qualsiasi oltranza linguistica che esorbiti la norma. E non sarà che a continuare di questo passo si rischia di cadere nella solita denigrazione destrorsa degli intellettuali? (O sono forse sviato dalla particolare sede che ha ospitato l’articolo?)

        Fabrizio

        febbraio 25, 2014 at 7:23 PM

      • Lungi da me la denigrazione destrorsa degli intellettuali! Amo la complessità necessaria, non la complicazione inutile e men che mai l’oscurità creata ad arte. Posso passare un giorno intero su una frase di Eckhart o di Spinoza, di Borges o di Valéry, ma la vita è troppo breve per Lacan e i lacaniani (non vedo un abisso tra maestro e allievi, in questo caso; anzi, spesso trovo più comprensibili gli allievi).

        unpopperuno

        febbraio 25, 2014 at 7:30 PM

  4. I suoi gusti sono rispettabili, oltre che impeccabili ed elegantissimi, forse li condivido anche (magari Borges ha un tantino stufato, Eckhart e Spinoza beh che si può dire?) ma il suo mi sembra un discorso ‘strategicamente’ sbagliato. Con questi chiari di luna, quando la complessità viene smerdata in favore dei messaggi precotti, degli slogan e delle semplificazioni (sempre fasciste), io se mi permette ho nostalgia di tempi in cui non si aveva paura dei discorsi difficili, anche se questo portava poi a eccessi: insomma Lacan non mi pare la bestia più brutta da sterminare, oggi. Inoltre, anche rigettando in pieno il suo pensiero, lei mi sa indicare in circolazione intellettuali di quel livello? Se si me li segnali. Questo Enrique Serna, magari? Mi permetto di dubitarne. La solfa della superbia e dell’impostura intellettuale la sento da tanti anni, non mi sembra una cosa particolarmente originale per passare da brillanti… (In Italia la ricezione di Lacan, peraltro, è stata molto inquinata dal caso Verdiglione, ma questa è un’altra storia).

    Fabrizio

    febbraio 25, 2014 at 7:57 PM


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