Guido Vitiello

Sesso, umor nero e metafisica: Martin Amis torna ad Auschwitz

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FullSizeRenderIl nuovo romanzo di Martin Amis, The Zone of Interest, è una macchia di Rorschach. Chi volesse farsene un’idea a partire da quel che legge sui giornali si troverebbe nella stessa condizione di un poliziotto che debba disegnare l’identikit di uno sconosciuto mettendo insieme testimonianze che lo descrivono come uno spilungone, quasi nano, obeso ma segaligno, e poi biondo, con i capelli di un nero corvino, anzi del tutto calvo. Il poveretto penserà di avere a che fare con un mutante o un mostro mitologico. È grosso modo l’impressione che si ricava dalla lettura delle recensioni a The Zone of Interest apparse sulla stampa britannica, israeliana, tedesca, americana (negli Stati Uniti il romanzo è appena uscito). La cosa certa è che Amis ha scritto, vent’anni dopo Time’s Arrow, un nuovo romanzo sulla Shoah. Per il resto, c’è chi assicura che si tratta di una profonda meditazione sul perché di Auschwitz, anzi sull’impossibilità di trovare un perché, nel solco di Primo Levi; c’è chi lo descrive come una commedia pervasa di un umor nero feroce e dissacratore, forse un po’ stonato in tempi di antisemitismo risorgente; c’è chi dice che il libro offre una traduzione romanzesca dell’idea arendtiana della “banalità del male” e del genocida come impiegato; c’è chi ne parla come di una storia d’amore che inclina al sentimentalismo kitsch; c’è chi lo presenta come un intreccio di atrocità ed erotismo al limite della pornografia, popolato di comandanti perversi e guardiane sadiche che hanno un tocco di “kinky lesbianism”. È possibile che un libro sia al tempo stesso La notte di Wiesel, Le benevole di Littell e Ilsa la belva delle SS?

Non solo è possibile, ma è la via su cui sembrano incamminarsi molti tentativi recenti di immaginare la Shoah. Ed è una via che parte da molto lontano, anzi, a rigore è l’intersezione di più vie. Lo storico Omer Bartov raccontava che in Israele, fino agli anni Sessanta, c’erano due tipi di libri sulla Shoah. C’era la letteratura “legittima”, solenne, d’intonazione pedagogica, promossa dai governi e adottata nei programmi scolastici; e c’era una letteratura “illegittima”, che i ragazzi si passavano di mano in mano clandestinamente, lontano dagli occhi dei genitori: gli Stalag, romanzetti sadico-pornografici ambientati nei campi per prigionieri di guerra che ebbero una certa fortuna all’epoca del processo Eichmann. E in mezzo? In mezzo non c’era nulla, o meglio c’era solo l’anomalia irripetibile di Ka-Tzetnik, il sopravvissuto e scrittore capace di far convivere nei suoi libri (come La casa delle bambole) le più profonde intuizioni su Auschwitz e le scene più pacchiane di sadismo ed erotismo.

È una storia lontana e tutta israeliana, quella raccontata da Bartov, ma lo schema che delinea può aiutare a illuminare casi più recenti. Perché anche se in Europa e negli Stati Uniti la demarcazione tra rappresentazioni legittime e illegittime della Shoah non è mai stata altrettanto netta, e lo è sempre meno dagli anni Settanta, l’impressione è che quello spazio intermedio – lo spazio che Bartov idealmente affidava a Ka-Tzetnik – si stia affollando sempre di più. La parete divisoria si è fatta permeabile, e i registri a lungo considerati illegittimi – il sadismo, il voyeurismo, ma anche la commedia, l’umor nero, o l’adozione del punto di vista dei carnefici – si sono aperti un varco e lottano per farsi legittimare. Di questo ci parla la storia recente che va dalle docce un po’ troppo ammiccanti di Schindler’s List all’erotismo kitsch delle Benevole. E di questo ci parla l’effetto-Rorschach del nuovo romanzo di Amis.

L’intuizione del poliziotto è corretta, spuntano intorno strani mostri e mutanti, ed è sempre più difficile farne l’identikit.

Articolo uscito sul Foglio il 4 ottobre 2014 con il titolo Porno Shoah

Written by Guido

ottobre 5, 2014 a 1:52 PM

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