Guido Vitiello

La Grande Rimozione. Sulla damnatio dei socialisti

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SequenzaFidelL’arte del fotoritocco totalitario ha prodotto tanti di quei capolavori che si dovrebbe farne un museo. Nell’ala “Surrealismo” si potrebbero esporre le mani di Karl Radek, che continuavano a dimenarsi, staccate dal corpo del loro proprietario, nel filmato di un congresso della Terza Internazionale: la censura di Stalin aveva tentato di cancellare ogni traccia dell’ex dirigente bolscevico, dopo le Grandi purghe, ma era stata tradita da quel dettaglio rivelatore (lo notò, e ne scrisse, Franco Fortini). L’ala “Realismo magico” potrebbe invece inaugurarsi con una sequenza di fotografie della Rivoluzione cubana, tre versioni successive della stessa immagine. Nella prima, Fidel Castro parla animatamente accanto a Carlos Franqui e ad Enrique Mendoza. Nella seconda, Franqui è scomparso; nella terza, non c’è più neppure Mendoza, e tutto quel che resta è un rincoglionito a bocca aperta che gesticola da solo davanti a un muro. Forse facevano prima a cestinarla.

Questo bestiario iconografico mi è tornato in mente, fatte le debite proporzioni, riflettendo sulla strana rimozione dei socialisti in Italia. Non parlo della rimozione forzata dalle strade della storia repubblicana per opera del gioioso carro attrezzi della Procura di Milano, no; parlo della loro cancellazione dalla memoria di ciò che è accaduto prima del 1992. Damnatio memoriae spietata, fino ad anni recenti; oggi più blanda, ma ancora generatrice di abbagli e miraggi retrospettivi. Per molti, il solo vestigio di quella lunga storia è lo spettro del decisionismo craxiano, che aleggia sulla scena pubblica come le mani di Radek, posandosi di volta in volta sulla testa del malcapitato che bisognerà impallinare a colpi di resistenza e Costituzione. Tutt’intorno, l’amnesia: a volte inconsapevole, spesso deliberata.

Alla prima categoria appartiene probabilmente lo sproposito di Renzi alla Leopolda, quando ha detto che la sinistra non votò per lo Statuto dei lavoratori; omettendo che un partito di sinistra, il Psi, quello Statuto non solo lo aveva votato, ma lo aveva anche concepito e proposto. Ma le facili ironie sul giovanotto scarso in storia rischiano di far dimenticare che pochi anni prima lo stesso scherzo lo aveva fatto Cofferati, dal fronte opposto. E l’amnesia, in quel caso, era deliberata. Nel comizio del Circo Massimo del marzo 2002, spesso evocato in questi giorni, l’allora segretario della Cgil ricordò la legge del 1966 sui licenziamenti senza giusta causa citando le parole del “compagno Ugo Spagnoli”, comunista, che a sua volta elogiava i princìpi cattolici della dignità della persona. I tre milioni di manifestanti avranno pensato che la legge fosse nata dalla collaborazione tra i futuri eroi del compromesso storico. Del Psi, neppure la menzione. Se ne accorse Giuseppe Tamburrano, che denunciò al Corriere della Sera la “rimozione dei socialisti dalla storia”.

Non so invece in quale variante amnestica far ricadere il commento di Francesco Piccolo sul Corriere del 28 ottobre dedicato alle “Sinistre al bivio”. Ai giovani della Leopolda che con la storia “fanno un po’ di confusione”, lo scrittore ha chiarito le idee spiegando che “il riformismo progressista e in collaborazione con altre forze politiche è stata l’ultima grande strategia politica di questo paese, e l’ha immaginata Berlinguer”; il quale “non avrebbe mai governato con chi è dalla parte opposta del Parlamento”. Vedete bene che la rimozione storica porta qui a esiti surrealisti. Perché non solo la strategia del compromesso storico non c’entrava nulla con il riformismo (poco più che una parolaccia, per Berlinguer); non solo si alimentava di una confusa idea di superamento del capitalismo concepita sotto l’ala oscurantista di Franco Rodano; non solo prevedeva di allearsi appunto con chi era “dalla parte opposta del Parlamento”, ossia la Dc; ma tutto questo lo faceva a danno della via del “riformismo progressista”: l’alleanza con il Psi.

E passi che la storia la scrivono i vincitori. Ma che almeno la scrivano bene, perché a furia di fare il vuoto intorno agli eredi del compromesso storico graziati da Mani pulite si rischia di finire come Fidel in quella vecchia foto: dei rincoglioniti che parlano da soli davanti a un muro.

Articolo uscito sul Foglio il 1 novembre 2014 con il titolo La grande rimozione

7 Risposte

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  1. Una delle più puntuali analisi scritte negli ultimi anni, peccato che purtroppo nemmeno quelli dell’attuale “psi” la leggeranno, impegnati come sono a prestar soccorso stradale al carro di Renzi. Una specie di ACI a basso costo utile ai “socialisti” al di là delle Alpi, per mostrare credenziali un po’ foto-ritoccate.

    silvestri64

    novembre 2, 2014 at 2:16 PM

  2. Ma come si vede bene che non vi passa un cazzo che la colpa della rimozione è tutta di Craxi e delle politiche del socialismo craxiano che non avevano nulla di sinistra.
    Quanto a chi (non) difende il vero socialismo la ricordo bene la polemica sull’amaca di Serra che non poteva difendere il socialismo “reale”.
    Finchè post del genere non cominceranno con concetti tipo Craxi è stato il male assoluto del socialismo e della sinistra in Italia, che prosegue oggi con gente tipo Cicchitto Sacconi e Brunetta è chiaro che non potete capire perchè il “socialismo” è stato cancellato.

    david

    novembre 3, 2014 at 12:34 PM

  3. Craxi ha realizzato la poltica economica piu’ destrorsa della storia della Repubblica. Ha creato una casta di rentier mantenuti dai lavoratori. E poi ha tolto la scala mobile. Risultato: i dipendenti meno pagati del mondo occidentale e una distibuzione della ricchezza da paese bananiero dell’America latina. Bel riformismo. Da mandare a memoria. Con tutti i peana degli stronzi che parlano da soli davanti alle telecamere.

    frank

    novembre 3, 2014 at 4:23 PM

    • Politica destrorsa non direi, piuttosto ha messo in pratica lo scopo ultimo di ogni politica socialista che si rispetti, ovvero quello di creare “una casta di rentier mantenuti dai lavoratori”.

      ilradicchioavvelenato

      dicembre 29, 2014 at 4:12 am

      • non so quale latte bisogna puppare per arrivare a conclusioni scicchettose come questa, ma pensare di reggere una qualsiasi democrazia senza “corpi intermedi” quali i partiti politici (quelli seri e strutturati capillarmente sul territorio, non certo le olografie attuali) è un chiaro esempio di cosa volesse significare Marx per “infantilismo politico”.

        silvestri64

        dicembre 29, 2014 at 10:36 am

  4. no ma poi il bello che anche in questo articolo, parlando di Craxi, l’unica caratteristica ricordata è il “decisionismo”, e pure come fosse una cosa positiva; per chiarezza conosco l’opera di politica di Giugni Mancini e Fortuna (citando a caso) ma un articolo così, uno solo magari, mi piacerebbe dicesse la politica di Craxi ha sputtanato per sempre i socialisti italiani invece di avere il solito sottotesto per cui è sempre un povero martire della Procura

    david

    novembre 3, 2014 at 5:27 PM

  5. E – scusandomi per la petulanza – segnalo sullo stesso argomento Pierluigi Battista sul Corrierone di oggi (illuminante titolo: L’assurda amnesia socialista) dove si sottolinea (tra l’altro):
    “quanto sia stato importante il riformismo socialista nella storia italiana fino a Bettino Craxi, anzi soprattutto con l’accelerazione modernizzatrice impressa da Craxi”
    decisionismo + accelerazione modernizzatrice sono le caratteristiche per cui andrebbe ricordato il cinghialone, io ho tutti altri ricordi e concludo dicendo che non ero politicamente vincente allora e ancora meno lo sono oggi,

    david

    novembre 3, 2014 at 5:51 PM


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