Guido Vitiello

Non può accaderti nulla (Mani bucate, 19)

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Le belle donne costano, diceva qualcuno. Ebbene: costano anche le belle frasi. Molto ho dilapidato per inseguirne una che a esser sincero trovavo quasi brutta, priva di lusinga, come una signorina Felicita; ma che qualcosa di fatale doveva pur averlo, se lasciò un segno permanente su quattro corteggiatori non facili alle smancerie. La frase è questa: “Non può accaderti nulla”. Poca cosa, vedete bene; ma bastò a Ludwig Wittgenstein per intravedere la possibilità della mistica, e riabilitare la religione. Riferisce l’episodio l’amico Norman Malcolm: “Mi disse che in gioventù aveva disprezzato la religione, ma che intorno ai ventun anni qualcosa gli aveva fatto cambiare atteggiamento. A Vienna aveva assistito a teatro a un dramma mediocre, ma in esso uno dei personaggi esprimeva il pensiero che qualunque cosa accadesse nel mondo, nulla di male poteva accadere a lui – era indipendente dal fato e dalle circostanze”. Un’idea stoica non proprio luccicante di novità, c’è da supporre che Wittgenstein l’avesse incontrata prima in Epitteto o in Marco Aurelio, abbigliata di parole non troppo diverse. Ma solo quando la vide sulla scena se ne innamorò: e molti anni dopo, nella Conferenza sull’Etica, mostrò di non averla dimenticata.

La fonte era un dramma pastorale di Ludwig Anzengruber, Die Kreuzelschreiber. Un uomo disperato, che si crede al termine di una vita miserabile, si getta nell’erba alta sotto il sole, e si accorge che la sua pena è scomparsa, lo investe una felicità irragionevole, è come se una voce gli dicesse: Es kann dir nix g’schehn! Non può accaderti nulla! In un altro teatro, forse a Berlino, la stessa scena aveva già toccato il cuore di Fritz Mauthner, critico del linguaggio, propugnatore di una “mistica senza Dio”, scrittore venerato da Borges e da Joyce che nelle storie della filosofia è ricordato, quando pure è ricordato, come il dilettantesco precursore di Wittgenstein. In coda alla voce “Mistica” del suo dizionario di filosofia, Mauthner invita il lettore all’estasi. “Tu giaci nell’erba alta in un quieto giorno d’estate. In basso, sotto di te, scorre il Gange o il Reno. Accanto a te solo il tuo cane, a cui accarezzi la testa, che ti lecca la mano. Giochi con lui? Lui gioca con te? La distinzione è superata. E con essa tutte le altre distinzioni”. Al culmine dell’estasi, tra le voci del Buddha, di Francesco, di Goethe, di Novalis e di Eckhart, irrompe di nuovo il contadino di Anzengruber: “Che tu giaccia sei piedi sotto terra, o che tu debba affrontare tutto questo mille volte ancora – non può accaderti nulla! Tu appartieni al tutto, e tutto ti appartiene!”.

Diverso fu l’innamoramento di Sigmund Freud. La frase non gli sembrò né stoica né mistica, ma eroica. Quello dell’uomo che si getta in mare per salvarne un altro, o che si espone al fuoco nemico in guerra, scrisse ne Il poeta e la fantasia, “è il vero sentimento eroico, che uno dei nostri migliori scrittori di teatro, Anzengruber, ha espresso in una frase inimitabile: ‘Nulla mi può accadere!’”. Gli tornerà in mente nelle Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, perché è l’inconscio che si crede immortale la molla nascosta dell’eroismo.

Il dramma di Anzengruber è del 1872. Mauthner è a Berlino pochi anni dopo. Wittgenstein e Freud ne restano folgorati all’ombra della Prima guerra mondiale. Mentre calava inavvertito il buio, tre grandi ebrei d’Europa si passarono quel ritornello, ma solo un quarto lo riascoltò nel momento giusto per accorgersi di quanto suonasse stonato. Stefan Zweig, nel Mondo di ieri, rievocava le serate con gli amici in smoking, ignari che avrebbero presto indossato la casacca dei deportati: “Questa inguaribile spensieratezza viennese che avevo un tempo tanto amata, e di cui sento in fondo l’eterna nostalgia, la spensieratezza che il poeta nazionale Anzengruber ha riassunto una volta nel breve assioma Es kann dir nix g’schehn, mi riuscì per la prima volta dolorosa”. Non può accaderti nulla – e invece tutto stava per accadere.

Il Foglio, 8 ottobre 2016

Written by Guido

ottobre 10, 2016 a 3:27 PM

2 Risposte

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  1. Il racconto “Tre sentieri per il lago”, di Ingeborg Bachmann, si chiude con una versione di questa frase più femminile e disperata. Citiamo a memoria e potremmo sbagliare ma ci sembra (mentre sta accadendo qualcosa di terribile): “Nulla mi può accadere, qualcosa mi può accadere, ma non deve”.

    eliaspallanzani

    ottobre 10, 2016 at 6:59 PM

  2. “ Mercoledì 12 ottobre 2016 – « Se qualcuno scriverà una storia onesta della letteratura francese nel secolo ventesimo, non potrà trascurare il singolare fenomeno per cui allora nei giornali parigini si esaltavano mille nomi di poeti, ma che non si conoscevano, o si menzionavano a sproposito, i tre più essenziali. Dal 1900 al 1914 non ho mai visto citato nel Figaro o nel Matin il nome di Paul Valery come di un poeta, mentre Marcel Proust passava per un bellimbusto da salotto e Romain Rolland per un dotto musicologo; avevano quasi cinquant’anni prima che un pallido raggio di gloria giungesse al loro nome, e la loro grande opera fu compiuta nell’ombra, se pur nel cuore di quella città curiosissima e spiritualissima. » (Stefan Zweig, Il mondo di ieri, cit.) “.

    acabarra59

    ottobre 12, 2016 at 10:35 PM


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