Guido Vitiello

Da questa parte per la Mitteleuropa. Wilder contro Kubrick (Mani bucate, 35)

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C’è una Mitteleuropa di sogno, più vicina alla Perla di Kubin che alla Kakania di Musil, che si può raggiungere solo alla cieca, come in quel gioco di fine Ottocento – che ancora sopravvive nelle feste dei bambini – dove si tenta, bendati, di appuntare una coda a un mulo di cartone. Non speri di piantarci mai la sua bandiera chi si affatica a studiarne la mappa con occhi sgranati. Per Eyes Wide Shut, Kubrick scelse la via più turistica: prese la Vienna della Traumnovelle di Schnitzler, la imballò e la traslocò nella New York degli anni Novanta, con gesto meno vistoso, ma forse non meno pacchiano, dell’impresario che ricrea i canali di Venezia in un hotel di Las Vegas. Arbasino gli dedicò, all’epoca, qualche pagina di smagliante ferocia. Le scappatelle simmetriche degli sposini Cruise e Kidman – “un profilo di tucano e una faccetta meno espressiva del suo culo” – lui catturato in un bunga bunga wagneriano, lei in un incubo orgiastico piagnone, erano destinate a rientrare nell’angolo-cottura; e la ruvida battuta finale (“C’è una cosa molto importante che noi dobbiamo fare prima possibile: scopare”) era assimilata da Arbasino alla saggezza della nonna – “un purgantino o un clisterino risolvono tutto, purché sia salvo il sacramento del Matrimonio”.

Kubrick, discendente da una famiglia di ebrei mitteleuropei, aveva cominciato nel 1968 a immaginare quello che sarebbe diventato il suo film postumo, nel 1999: trent’anni in marcia verso la finis Austriae, con la mappa in mano, per ritrovarsi in tutt’altro luogo. Ma proprio negli anni Sessanta un ebreo galiziano fuggito a Hollywood, che negli anni Venti aveva studiato legge nella Vienna della Traumnovelle, aveva raggiunto la meta con la sicurezza di un sonnambulo. Baciami, stupido, il capolavoro negletto di Billy Wilder, che lui per primo ebbe il torto di considerare con sufficienza, si chiude pressappoco come Eyes Wide Shut; solo che l’esortazione dell’ultima battuta, nella Hollywood del 1964, era a scambiarsi un bacio. Ma quanto più radicali erano stati i sogni a chiasmo dei due sposi, in quella notte del Nevada! Lui, musicista di provincia dalle ambizioni frustrate, aveva assoldato una prostituta perché recitasse la parte della moglie, così da darla in pasto al divo donnaiolo Dean Martin, di passaggio nella sua cittadina, nella speranza di un abboccamento – solo che la ragazza si calava così a fondo nella parte da negarsi all’amante deputato; nel frattempo la vera moglie finiva per riscattare il suo anello nuziale con i soldi di una marchetta nella roulotte della prostituta, cadendo proprio tra le braccia del divo a cui il marito geloso voleva sottrarla.

Fassbinder disse una volta che Il sospetto di Hitchcock è la critica più feroce all’istituzione del matrimonio. Sbagliava, perché il film selvaggiamente metafisico di Wilder aveva frugato in segreti ben più fondi, fino a sfiorare l’antica idea ereticale – gnostica e poi catara – secondo cui il matrimonio non è, per essenza, che prostituzione legale. Il genere di segreti in cui la Mitteleuropa sapeva muoversi con leggerezza, nascondendoli bene in vista nelle frivolezze dell’operetta – “l’idillio di questa sera dell’Impero”, secondo il Magris del Mito absburgico. Ecco, Wilder aveva allestito un’operetta di Johann Strauss sull’increspatura degli abissi schnitzleriani. Ma non aveva avuto bisogno del baraccone austroungarico da esposizione universale di Kubrick; si era immesso su una via all’apparenza più lunga che si era però rivelata una scorciatoia. La sua fonte era una commedia degli anni Quaranta, L’ora della fantasia di Anna Bonacci, da cui Camerini aveva già tratto un film modesto con la Lollobrigida. Da una pochade italiana ambientata nell’Inghilterra vittoriana Wilder si era cacciato in qualche cunicolo sotterraneo, una tana del bianconiglio absburgico, che lo aveva fatto rispuntare a Vienna. Kiss me, stupid è il film più mitteleuropeo mai girato. E c’è una cosa molto importante che noi dobbiamo fare prima possibile: rivederlo.

Il Foglio, 18 marzo 2017

Una Risposta

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  1. “ Mercoledì 19 ottobre 2011 – « Sbrigati, Casanova » (Baciami, stupido, Wilder, 1964) [**] [**] Vedere Billy Wilder dopo un Ottoemezzo con il ministro Bondi a confronto con Pino Corrias di Repubblica è, come minimo, illuminante. Si capisce che tutto quello che il giornale fondato da Eugenio Scalfari ha, in tutti questi anni, veramente voluto era: fare ridere. Come un film comico, come una farsa, come una barzelletta. Fare ridere è il loro mestiere, cioè quello di cui vivono. Alla fine ci hanno messo anche una marchetta: la ristampa da Feltrinelli di un libro del medesimo Corrias: Vita agra di un anarchico. Che sarebbe Luciano Bianciardi, mica « er Pelliccia ». Sul fare ridere in generale, e sul fare ridere di Repubblica in particolare ci sarebbe poi molto altro da dire. [***] [***] A stare a Billy Wilder sembrerebbe di poter dire che il cinema è « offrire » la moglie a uno straniero, a un ospite, ma, soprattutto, a un cantante. “.

    acabarra59

    marzo 25, 2017 at 1:22 PM


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