Posts Tagged ‘Robert Musil’
Da questa parte per la Mitteleuropa. Wilder contro Kubrick (Mani bucate, 35)
C’è una Mitteleuropa di sogno, più vicina alla Perla di Kubin che alla Kakania di Musil, che si può raggiungere solo alla cieca, come in quel gioco di fine Ottocento – che ancora sopravvive nelle feste dei bambini – dove si tenta, bendati, di appuntare una coda a un mulo di cartone. Non speri di piantarci mai la sua bandiera chi si affatica a studiarne la mappa con occhi sgranati. Per Eyes Wide Shut, Kubrick scelse la via più turistica: prese la Vienna della Traumnovelle di Schnitzler, la imballò e la traslocò nella New York degli anni Novanta, con gesto meno vistoso, ma forse non meno pacchiano, dell’impresario che ricrea i canali di Venezia in un hotel di Las Vegas. Arbasino gli dedicò, all’epoca, qualche pagina di smagliante ferocia. Le scappatelle simmetriche degli sposini Cruise e Kidman – “un profilo di tucano e una faccetta meno espressiva del suo culo” – lui catturato in un bunga bunga wagneriano, lei in un incubo orgiastico piagnone, erano destinate a rientrare nell’angolo-cottura; e la ruvida battuta finale (“C’è una cosa molto importante che noi dobbiamo fare prima possibile: scopare”) era assimilata da Arbasino alla saggezza della nonna – “un purgantino o un clisterino risolvono tutto, purché sia salvo il sacramento del Matrimonio”. Leggi il seguito di questo post »
Facebook-Krieg, ovvero: Claudio Magris e il suo Doppio
Qualcuno doveva aver raggirato Claudio M., perché senza che avesse fatto niente di male una mattina lo iscrissero a Facebook. Il professore absburgico si è trovato, suo malgrado, sdoppiato: da una parte Claudio Magris, dall’altra il profilo Facebook di Claudio Magris. E va bene che ogni orfano della finis Austriae ha diritto al suo personale Doppelgänger, ma che gli si lasci almeno il piacere perturbante di generarlo da sé, per gemmazione fantastica, psicoanalitica, allucinatoria, al limite vendendo l’ombra al diavolo. La reazione, tempestiva e battagliera, il professore l’ha affidata alla sede naturale che spetta a chiunque venga iscritto proditoriamente a un social network: la prima pagina del principale quotidiano nazionale.
C’è perfetto accordo tra pensiero e azione, tra il Beruf dello studioso, la sua vocazione professionale, e la prassi del militante. Nell’ultimo libricino Segreti e no Magris rivendica il “diritto all’opacità”, a mantenersi in ombra; nel commento di giovedì sul Corriere si appella invece al secondo comma dell’articolo 20 della Costituzione che sancisce il “diritto di non partecipare” e invita a diffonderlo, a far volantinaggio, a declamarlo in tv, cosa che farei volentieri se solo quel comma esistesse (forse anche la Carta ha un suo Doppio onirico); chiama poi in causa la partecipazione coatta dei regimi totalitari, che ti iscrivevano d’ufficio ai Facebook dell’epoca – i Figli della Lupa, il Komsomol sovietico, la Hitlerjugend. Ma piano con i risolini: non siamo in Kakania, lo stile non è quello fumoso e inconcludente dell’Azione Parallela, e Magris, a differenza dell’Ulrich di Musil, è uomo d’azione. Non mollerà la preda, come testimonia la sua storica battaglia contro Telecom, passata agli annali come Memotel-Kampf o la Guerra dei sei anni (2001-2007). Leggi il seguito di questo post »
Una casetta piccolina in Cornovà. La sit-com di Tristano e Isotta
Esperimento mentale crudele: si provi a immaginare una sit-com sulla vita coniugale di Tristano e Isotta, che scampati ai fulmini di Re Marco si avviano a condividere una vecchiaia tranquilla e tutt’al più un poco bizzosa. La scena: un cottage in Cornovaglia. Il cavaliere è un gentiluomo bolso e sonnacchioso che, placato lo zio, non vuol più saperne d’avventure; la principessa, una lentigginosa signorotta irlandese che si dedica ai fiori e ai gatti del giardino in compagnia dell’ancella Brangania, che è oramai una centoduenne rimbambita. Ecco, con questo quadretto in mente sarà più facile accogliere l’affermazione, invero un po’ spavalda, che Denis de Rougemont lasciava cadere nella prima pagina del suo grande libro del 1939, L’Amore e l’Occidente: “L’amore felice non ha storia. Romanzi ne ha dati solo l’amore mortale”. Se Tristano e Isotta si appassionano l’uno all’altra – e noi lettori ai loro destini – è proprio perché la via è disseminata di ostacoli e divieti, è proprio perché la principessa, scherzava De Rougemont, non diverrà mai “Madame Tristan”. La tradizione romanzesca è la patria elettiva dell’“amore reciproco infelice”, che si lascia consumare dal suo fuoco fino alla beata estinzione della morte; il demone dell’amour-passion è “il demone stesso del romanzo come piace agli occidentali”. Leggi il seguito di questo post »
Margaret Mazzantini, Gigi D’Alessio e il romanzo neomelodico
Ho un serio problema con le nozioni anatomo-fisiologiche di certi canzonettisti melensi. Non è chiaro, per esempio, che cosa intendesse Umberto Tozzi cantando “è una farfalla che muore sbattendo le ali l’amore che a letto si fa”. Quel verso, a dire il vero, lasciava interdetto anche il buon Francesco Guccini: “E tu rimani lì”, commentava, “e ti domandi se le altre volte non hai sbagliato tutto, o qua e là, nella faccenda; se non c’è qualcosa che ti è clamorosamente sfuggito”.
Un enigma non meno arduo lo offre Eros Ramazzotti in Adesso tu: “La parte interna dei respiri tu sarai”. Immagino si riferisse ai respiri tout court, visto che la parte esterna dei respiri (l’aria che c’è in giro) non è da considerarsi pertinenza del signor Ramazzotti, ma chissà. Allo stesso modo, quando Raf cantava “e le tue mani su di me sulle mie mani su di te” (Inevitabile follia), ho sempre pensato che si trattasse di un intreccio recidibile solo per via chirurgica. Leggi il seguito di questo post »
L’Amore e l’Occidente – Parte seconda
Da gennaio in libreria – ma gli impazienti e i volenterosi recensori possono farne richiesta fin d’ora all’editore Ipermedium Libri – il seguito di L’Amore e l’Occidente di Denis de Rougemont. Tradotto, curato e introdotto da me medesimo. Dalla quarta di copertina:
«Esiste un solo romanzo, nelle nostre letterature! Una sola passione che impone le stesse peripezie in tutti i tempi da Tristano in poi, dall’epifania grandiosa e decisiva dell’archetipo della passione nel XII secolo». È la scoperta che Denis De Rougemont annuncia in queste pagine, che riprendono il filo della sua opera maggiore, L’Amour et l’Occident. Mutano i fondali e le persone del dramma, ma a occupare la scena della letteratura occidentale sono sempre loro, Tristano e Isotta, eroi di una passione che sceglie la trasgressione contro la norma, la notte contro il giorno, in ultimo la morte contro la vita. Tre romanzi di amour-passion del ventesimo secolo – Il dottor Zivago, Lolita, L’uomo senza qualità – sono sottoposti da De Rougemont ad analisi mitologica, o «mitanalisi»: l’eroe di Pasternak insegue la sua Isotta, Lara, braccato da un Re Marco ferocissimo, il despota sovietico; Humbert Humbert venera un idolo avvolto dall’aura dall’interdetto, una «ninfetta» dodicenne; lo Ulrich di Musil si oppone al divieto più assoluto, l’incesto, amando la gemella Agathe. Ovunque domina Tristano, che però è qui chiamato a fare i conti con altre due figure: Don Giovanni, che ha per l’occasione le fattezze di Friedrich Nietzsche, seduttore di tutte le idee del suo tempo; e Amleto, alter ego di un altro principe danese, Søren Kierkegaard, tormentato dalla sua vocazione come l’eroe di Shakespeare lo era dallo spettro paterno.
Denis De Rougemont (1906-1985) è stato uno scrittore e saggista svizzero, tra l’altro pioniere del federalismo europeo. Il suo capolavoro, L’Amour et l’Occident, apparso per la prima volta nel 1939, è uno dei libri più influenti del Novecento. Tra le altre sue opere di argomento affine, La Part du Diable (1942), Les Personnes du Drame (1947), Doctrine Fabuleuse (1947) e L’Aventure occidentale de l’homme (1957).
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