Erri ti presento Nichi. Una cattivissima Pagina 69
Possono due cose molto stupide sprigionare, cozzando, una scintilla d’intelligenza? In linea di principio ne dubito, ma chissà. Fino a pochi giorni fa mi riusciva difficile immaginare qualcosa di più balordo della campagna di scrittori e operatori culturali vari in favore di Cesare Battisti. E invece, lunedì apro il giornale e cosa trovo? Tra le tante reazioni isteriche e scalmanate alla decisione di Lula, che rischiano seriamente di sputtanare la buona causa dell’estradizione, scopro che il Coisp, un sindacato di agenti di polizia, ha invitato a boicottare libri, film e dischi dei firmatari dell’appello per l’ex Proletario Armato per il Comunismo. Iniziativa che, per dire il meno, difetta di logica elementare (senza contare che è una mera ritorsione, per di più contro le persone sbagliate). Così mi son messo a scorrere la lista incriminata – che il sito del Coisp allegava al comunicato – come si sfoglierebbe una guida al consumo critico, uno di quei manualetti che ti dicono che cosa è meglio non comprare, quali alimenti contengono coloranti cancerogeni, quali prodotti sono fabbricati sfruttando manodopera infantile. A farla breve, l’idea che mi è balenata dalla somma algebrica degli opposti cialtronismi è questa: comunque la si pensi su Battisti (e io la penso banalmente come il nostro caro Uomo del Colle), può l’elenco dei suoi sostenitori valere come criterio di gusto, o come guida ai consumi culturali?
Non l’avrei mai detto, ma pare proprio di sì. Tolti tre o quattro nomi di talento, la campagna sembra aver radunato sotto una sola bandiera tutto quel che detesto nel panorama letterario. Non manca nessuno. C’è quella famiglia di romanzi-fumettone un po’ pacchiani con velleità da feuilleton antagonista, che ultimamente ha provato a darsi lustro con l’etichetta di “epica”; c’è tutto quel filone di noir politicheggiante che spaccia per realismo crudo il suo manierismo stracotto, e che ebbe per anni il suo apostolo in Jean-Patrick Manchette; c’è quella batteria di autori Feltrinelli tra il reducistico, il gruppettaro e il generazionale, magari con il pallino (vacanziero ormai più che rivoluzionario) dell’America Latina; ci sono i cascami di avanguardie morte o nate morte, un po’ di quel tardo marxismo perbenista da dipartimento di italianistica e un folto sottobosco di ceto medio editoriale che sta nel-mercato-ma-contro-il-mercato o almeno così se la canta; e poi vari romanzieri da evento culturale, quelli che scrivono il book con già in testa il book party, e relativi critici di complemento; e infine, a completare il contro-canone, vertici inarrivabili come Antonio Moresco e Aldo Nove, che in un museo degli orrori letterari meriterebbero un’ala a parte.
Ma su tutti spicca lui, il cattivo scrittore quintessenziale, che forse non ha nemmeno firmato i vari appelli per Battisti ma che è presente più che mai in ispirito. Parlo di Erri De Luca, sintesi vivente di un buon numero di malanni che affliggono le nostre lettere: aprire un suo libro è come scoperchiare un vaso di Pandora. Per dirla in maniera spiccia, Erri De Luca sta al buon gusto e alla bellezza come Pol Pot sta ai diritti umani. E tuttavia, perché la mia non sembri una mera petizione di principio, sottoponiamo il suo romanzo Il giorno prima della felicità (non so se sia il più recente, ma è l’ultimo che mi è capitato a tiro) al feroce test di pagina 69. Ricordiamolo, per chi si fosse perso la puntata precedente: 69, page érotique è una rubrica di critica militare, e la critica militare sta alla critica come la giustizia militare sta alla giustizia. È sbrigativa, presuntuosa, impaziente, e magari finisce per condannare alla fucilazione qualche libro innocente su labili basi indiziarie.
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Ora, superato il primo fastidio per questa atmosfera da care vecchie buone cose di Napoli, con le verdure bollite e la partitella a scopa, così opprimente che la pagina sembra diffondere tutt’intorno odore di broccoli; superato il secondo fastidio per personaggi che parlano sempre con frasi stentoree, da incidere su una lapide (“Non desidero la libertà”), neanche fossero sul palco di Vieni via con me, con la differenza che Saviano parla così in tv e non, vogliamo sperare, nel tinello di casa; superati questi due fastidi, dicevamo, appare evidente che la scrittura di De Luca si compone essenzialmente di due ingredienti:
1) Accumulo di luoghi comuni di varia origine (terzomondisti, borbonici, rivoluzionisti, guevaristi, generazionali, sapienziali);
2) Insistenza smodata sul corpo – sul proprio corpo, anzitutto – che potrebbe definirsi, in mancanza di meglio e perché sono pigro, realismo propriocettivo.
Partiamo da questo secondo aspetto. Erri De Luca sembra avere la necessità irrinunciabile di tenerci informati su tutte le più piccole reazioni fisiche sue e dei suoi personaggi, come il Gianfranco Funari dell’epoca d’oro, quello che esordiva nelle sue trasmissioni condividendo con le ottuagenarie presenti in studio la cronaca dei suoi doloretti: il colpo della strega, la sciatica, la costipazione e via dicendo. In una poesia della raccolta L’ospite incallito, per esempio, si rivolge a un aspirante suicida in piedi sul parapetto esortandolo a fermarsi e sentire il proprio corpo, con versi come questi: “Fatti prestare lo stetoscopio (sic!), appoggiatelo addosso, meglio che dentro la conchiglia senti il mare chiuso”, oppure: “l’ombelico è un vulcano e tu sei una geografia”. Non dubitiamo che il poveretto, così sollecitato, abbia spiccato con rinnovato entusiasmo il fatale volo dal sesto piano. In questa pagina 69, invece, c’è un check-up completo dell’io narrante: il gonfio ai pantaloni, il sangue alle labbra, l’odore in bocca, il ronzio alle orecchie, il naso secco, l’arsura di labbra, la vampata di febbre. Un agguato sensoriale al lettore, che mescolato al tanfo dei broccoli può creare qualche fastidio, specie se letto dopo i pasti. Cosa c’è dietro questa ossessione feticistica di Erri De Luca per il corpo, specialmente per il proprio? Disturbi narcisistici della personalità a parte, c’è senz’altro un po’ del suo estetismo operaio (la formula, impeccabile, è di Massimo Onofri); c’è poi il mito hemingwayano dello scrittore “atletico” (nella fattispecie, prima caposervizio d’ordine di Lotta Continua, poi scalatore di rocce); in misura minore, ci sono certi postumi del pasolinismo, sui cui danni un giorno pure bisognerà riflettere, e cioè quella devozione arcaica, paleo-cattolica, creaturale ma anche erotica ed estetizzante per i “corpi”; e c’è, soprattutto, la sciagurata indistinzione tra la letteratura e la vita che fa apparire più “vero” chi sbatte le proprie viscere ancora calde sulla pagina, e che tanto piace agli adolescenti in cerca di “autenticità” canzonettistica.
Questa retorica delle viscere, della carne e del sangue si sposa a meraviglia a tutta una retorica della terra, delle radici, dei sapori (una specie di Slow food letterario partenopeo, altrettanto reazionario – e qui torniamo ai broccoli), la quale a sua volta fa da supporto a una retorica politica terzomondista e populista, in tutte le accezioni possibili. Per inciso, si tenga d’occhio questo intreccio di retorica e di viscere: con accenti diversi lo si ritrova, per esempio, nel buon Saviano e in una dozzina di altri scrittori, e insieme ad altri apporti ha contribuito a creare quel monstrum linguistico che è l’oratoria politica di Nichi Vendola, che si potrebbe battezzare New Apulian Epic. Una specie di Sorel a fumetti, dove sembra che anche una discussione sui meccanismi elettorali o sulla pubblica amministrazione non possa prescindere da evocazioni dell’anima, della pelle, del corpo, del sangue, del sesso e del pelame. Ma torniamo al nostro esperimento in corpore vili, e al primo ingrediente della scrittura di Erri De Luca: l’accumulo, vorrei dire l’ammucchiata, di banalità.
La pagina 69 prosegue infatti con una gragnuola di luoghi comuni delle più varie provenienze. Solo che, laddove lo scrittore mediocre cerca di imbellettare i cliché con il cattivo lirismo, circondandoli di uno sfumato posticcio da ritratto di Boldini, laddove lo scrittore furbetto li riscatta con l’ironia e con il camp, lo scrittore atroce li esaspera con la retorica, aggiungendo male a male. “Mi divertiva il latino, lingua escogitata da qualche enigmista”. Cos’è, se non la versione tronfia del vecchio cliché delle maestrine e delle vecchie zie: il latino apre la mente, perché insegna a pensare con logica? “Non mi piaceva il caso accusativo, aveva un brutto nome”. E già, sempre tutti pronti a puntare il dito contro la gente, ma chi è senza peccato… (questa ruffianata me ne ricorda un’altra, da una poesia nientemeno di Ligabue: “e pensare che qualcuno ha potuto abbinare alle mine il verbo brillare”). “Bello il dativo”. Vero. Che poi, in fondo in fondo, dà più gioia il dare che il ricevere. C’è tanto egoismo in giro.
Dopo avere sfogliato fino all’ultimo petalo questa rosa rosae rosae di banalità, ecco montare un crescendo impetuoso di cliché meridionalisti che – tra “guerrette d’indipendenza” e “resistenza del Sud” – approda a un luogo comune nudo come un verme, anzi nudo come si dice dei cioccolatini, senza neppure la pudica veste di una stagnola: “I vincitori hanno bisogno di denigrare i vinti”. Ma i vinti, per fortuna, hanno il ritmo nel sangue.
È sempre un sollievo trovare qualcuno che condivide i tuoi gusti, specie se questi sono in contrasto con quelli della maggioranza. Mi sentivo sempre a disagio quando leggevo commenti entusiasti ai suoi libri(tanti) su un sito di lettori in quanto quel poco di lui che ho letto mi era sembrato appunto retorico, presuntuoso, ridondante, ruffiano, scritto apposta per conquistare i lettori e lettrici di bocca buona, facilmente conquistabili dalle cosiddette”belle parole”. Devo dire, però, che in una raccolta di racconti “In alto a sinistra” ne ho trovato uno: Il pannello, che mi ha fatto ricredere. Forse De Luca avrebbe la stoffa per essere uno scrittore vero, ma il desiderio e l’ansia di essere uno scrittore di successo uccide il suo talento. Trovo geniale l’ accostamento a Vendola.
rossana
gennaio 6, 2011 at 3:47 PM
Che rubrica fenomenale, lasciatelo dire.
qzk
gennaio 6, 2011 at 10:24 PM
Ho riso.
Tanto.
Con la bocca.
Avevo le labbra un po’ secche.
E mi è scesa una lacrimuccia…
Ho qualche possibilità?
cinzia opezzi
gennaio 7, 2011 at 4:04 am
Broccoli..? Maddai, ha scritto “verdure” non “sedano nero di Trevi” che in effetti farebbe molto slowfood.
Il “gonfio ai pantaloni” è una visione davvero un po’ imbarazzante. La tirata sulla sete e le labbra secche mi ricorda quella poesia di Neruda che tutti gli ometti hanno mandato almeno una volta a qualche facile preda… “sete di te m’incalza”, “la bocca ha sete dei tuoi baci”, e via dicendo.
Sul latino che apre la mente, hai ragione, ma almeno suona spontaneo, mentre il brigantaggio con annessa notte della taranta… decisamente ruffiano e ormai fuori tempo massimo
Emanuela
gennaio 7, 2011 at 3:48 PM
Abbiamo premiato questo blog con un piccolo riconoscimento simbolico :)
http://librisulibri.it/2011/01/12/sunshine-award-premiare-12-blog-sui-libri-con-un-piccolo-post/
Camilla
gennaio 15, 2011 at 7:59 PM
Grazie grazie grazie! Io vivo di soli simboli (e di qualche scatoletta di tonno).
unpopperuno
gennaio 16, 2011 at 1:36 am
Speriamo ti sia giunta notizia che l’inclusione del Nostro nella risibile lista della salute è stata frutto di un equivoco.
Fondazione Elia Spallanzani
febbraio 14, 2011 at 7:24 am
La lista è risibile, e anche peggio che risibile, e il Nostro o Vostro o Loro non c’è (c’è però tra i difensori del balordo, e anzi si è molto speso con le sue solite tronfie chiamate in correo di una “generazione” intera – che non lo ha mai delegato al compito di rappresentarla, per inciso).
unpopperuno
febbraio 14, 2011 at 8:39 am
Si è trattato di un complicato quanto futile insieme di coincidenze: Spallanzani non ha mai sostenuto Battisti, ma è stato messo ugualmente nella lista dei cattivi. Quando “i cattivi” si sono accorti che potevano sfruttare la lista a scopo pubblicitario, allora hanno estromesso Spallanzani, che quindi è stato censurato due volte!
Dobbiamo purtroppo constatare che anche una persona intelligente può essere vittima dei pregiudizi.
Fondazione Elia Spallanzani
febbraio 14, 2011 at 12:39 PM
Ah, parli di Spallanzani, io pensavo ti riferissi a De Luca. Che infatti (mi pare) non c’è nella lista, ma in qualche appello di Nazione Indiana. Se parlando di “persona intelligente che può essere vittima dei pregiudizi” ti riferivi a me, come vedi ti sbagliavi: hai pre-giudicato. Ma può capitare a tutti di equivocare. Stavolta a te, la prossima (chissà) a me.
unpopperuno
febbraio 14, 2011 at 12:53 PM
Oh non ci saremmo mai permessi di affibbiarti un “persona intelligente”! Parlavamo ovviamente di Erri De Luca.
Fondazione Elia Spallanzani
febbraio 14, 2011 at 1:22 PM
E allora, vedi (anzi: vedete, visto che parla un kollettivo), ho equivocato anch’io.
Meglio così, mi sarei offeso per un semplice “persona intelligente” (dato da voi, s’intende).
unpopperuno
febbraio 14, 2011 at 1:42 PM
Suvvia 1poX1, non lasciamo che il gusto della disputa incrini il Fronte Reazionario per la Liberazione della Patria dal Deluca. Tutti insieme dobbiamo combattere contro questi flagelli.
Fondazione Elia Spallanzani
febbraio 14, 2011 at 3:45 PM