I Magi sciroccati (e Mattarella impupato)
Sono arrivati gli zii di Sicilia, cerimoniosi come i re Magi, a portare il loro saluto al martirello del Quirinale. Sono arrivati trainando un carretto agghindato di tutti gli stereotipi letterari della sicilianità e della sicilitudine, che piacciono tanto ai turisti. Ci hanno risparmiato finora lo scirocco, anzi i secoli di scirocco impigliati in quell’aureola di capelli bianchi, ed è già qualcosa; ma per il resto l’hanno impupato ben bene, Mattarella, dando fondo a tutte le riserve di Sciascia e De Roberto e Brancati che avevano a disposizione. Il primo dei re venuti da meridione, Francesco Merlo, gli ha dedicato su Repubblica un ritratto con più addobbi e candele della festa di Santa Rosalia. In uno dei suoi accessi – ahi quanto frequenti – di maschia e chiaroveggente empatia, Merlo si è immaginato il presidente “perduto nell’immensità soffocante del Quirinale come Casimiro, il triste Vicerè di Sicilia”; un “siciliano schivo, coperto e cauto”, un “siciliano tragico e superbo che brancatianamente vede il nero anche nel sole”, “umbratile e sensibile siciliano fenicio che non perdona”, uno di quei siciliani “muti, nodosi, solitari, sobri, schivi e diffidenti”, che ha la solitudine “della Sicilia terragna, Sicilia di scoglio diceva ancora Sciascia e non di mare aperto, mai di avventura”. Altro che l’oro, l’incenso e la mirra: tutti i cliché del made in Sicily si danno convegno in questo piccolo dizionario dei sinonimi dove tutto è dolente, taciturno, malinconico, tormentoso, sofferente. Sciroccoso no – ed è già qualcosa.
Neppure avevo fatto in tempo a riprendermi da questo concentrato di sicilitudine posticcia, più stucchevole dei fruttini di marzapane, che già vedevo venire da settentrione il secondo re, Marco Belpoliti, che dopo il corpo del capo, le foto di Moro e la canottiera di Bossi ha portato in dono, sull’Espresso, una pagina sulla schiena curva e però dritta di Mattarella. Il presidente “non sarebbe stato troppo fuori posto nella cerchia di Don Gaetano, il prete di Todo Modo”. Ma l’elemento che più lo connota, e che lo incurva, è “la mestizia, quel dolore sottile e malinconico che era proprio di tutta una generazione di notabili democristiani, a partire da Aldo Moro”. Moro è quello dei secoli di scirocco, appunto, del quale “Sciascia ebbe a dire che incarnava il pessimismo meridionale”; e in Mattarella “questo pessimismo s’intravede appena, ma dev’esserci”. Eppure la mestizia “esprime anche una forma di desiderio, indiretto e sottile, che i siciliani possiedono in un disegno così unico: per loro la malinconia è disincanto, distanza, ma anche bruciante desiderio”.
Che portenti, questi magi sciroccati. Perché delle due l’una, o sono così perspicaci da saper penetrare in un lampo di intuizione letteraria nelle pieghe più nascoste dell’anima di uno sconosciuto, o il loro gioco è un altro: prendere il malcapitato presidente e proiettargli addosso tutta una fantasmagoria di reminiscenze romanzesche (tanto lui sta zitto e immobile, come i siciliani di scoglio). D’altronde, non era stato già Sciascia a trasformare Moro in un personaggio di Pirandello?
Incensato da Belpoliti, cosparso di mirra da Merlo, al neonato quirinalizio mancava solo l’oro, ed è venuto da Parigi, o meglio dall’oltretomba. Le Figaro ha riportato che Leonardo Sciascia descriveva Mattarella come uno di quei siciliani “testardi, inflessibili, capaci di sopportare enormi quantità di sofferenza, di sacrificio”. Che sono sì parole di Sciascia, ma non riferite a Mattarella, bensì al Fra’ Diego La Matina di Morte dell’inquisitore. Anche qui, delle due l’una: o Sciascia vedeva in Sergio Mattarella un redivivo La Matina, l’eretico che uccide il suo inquisitore (pare improbabile), o il povero redattore di Le Figaro ha trovato queste parole nel ritratto di Merlo, che le citava, e rintronato da tutti quei venti sciroccosi di sicilitudine romanzesca non ha capito più dove finiva l’uomo e dove cominciava il personaggio. Di questo pasticcio rivelatore non possiamo che essergli grati.
Articolo uscito sul Foglio il 7 febbraio 2015 con il titolo Come t’impupo Mattarella coi soliti luoghi comuni del made in Sicily
Ciao Guvi. Definirei la tua portentosa vena comica “canzonismo icastico”. È uno stile bensì quasi del tutto particolare, che distribuisce con sufficiente esattezza una chiara riconoscibilità delle tue lettere qua e là in quanto scrivi. Attendesi tuo parere.
|\quasiscrive/|
febbraio 10, 2015 at 1:00 PM
Gli -ismi mi sono sempre un po’ antipatici per principio, ma accetto di buon grado e ringrazio.
unpopperuno
febbraio 10, 2015 at 1:03 PM
Pensiero categorico vade retro, eh?! Sei proprio un popperone.
Ecco il mio regalo – utilissimo – per un florido 2015.
http://unaparolaalgiorno.it/a/16/50-sfumature-di-stronzo
L’aspetto più spassoso è che è una cosa seria.
|\quasiscrive/|
febbraio 11, 2015 at 9:43 am