Guido Vitiello

Esprit de l’escalier (Mani bucate, 9)

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Troppo misantropo per arrivare incolume in fondo a una conversazione senza aver fatto qualche faux pas sociale, Jean-Jacques Rousseau era tuttavia convinto che sarebbe stato un ottimo conversatore per lettera, “come si dice che gli spagnoli giochino a scacchi”. Per trovare le parole giuste ci vuol tempo, proprio come per trovare la mossa giusta in una partita. Certo, gli scacchisti per corrispondenza sono figure irrimediabilmente comiche per chiunque abbia letto il carteggio Gossage-Vardebedian di Woody Allen (“Secondo te, stando ad una lettera andata smarrita ventitré mosse fa, il tuo cavallo che ho tolto dalla scacchiera settimane addietro dovrebbe trovarsi nella quarta casella di re…”), ma Rousseau non poteva trovare esempio migliore, negli anni in cui scriveva. Due secoli buoni lo separavano dall’invenzione della posta elettronica; uno e mezzo da una conversazione destinata a incarnare il suo ideale, quella che i letterati russi Ivanov e Gersenzon tennero nell’estate del 1920, scambiandosi lettere da un angolo all’altro della stessa stanza nel Sanatorio per lavoratori dell’intelletto debilitati; e la formula aurea del conversatore inetto sarebbe nata, senza che lui potesse saperlo, pochi anni dopo la fine della stesura delle Confessioni. Questa formula era esprit de l’escalier.

Le do la caccia da anni, raccogliendo tutto quel che è possibile raccogliere e creando buchi nel bilancio che solo un astrofisico saprebbe misurare. Ma la questione è decisiva, e merita lo sperpero. Il Livre des métaphores di Fumaroli attribuisce l’origine dell’espressione a Diderot, che si avvicina a usarla in una pagina del Paradosso sull’attore, scritto negli anni settanta del Settecento (ma pubblicato solo quando Rousseau era morto da un pezzo). Incapace di rispondere alla battuta velenosa di un certo Marmontel a proposito di Voltaire, l’interlocutore capisce che davanti a un’offesa l’uomo sensibile “perde la testa e non la ritrova che in fondo alle scale”. E per questo si maledice. La replica perfetta, infallibile, quella che un altro uomo “freddo e padrone di sé” avrebbe trovato senza indugio, gli si presenta alla mente quando è ormai troppo tardi, sulla via di casa. Che fare, allora? Tornare indietro, riaprire artificiosamente una conversazione già chiusa? Nulla di più goffo, in società. Tirare un respiro nell’attesa che il risentimento e il dispetto si diradino, per passare oltre? Neanche a pensarci. Piuttosto, si siede pazientemente allo scrittoio, e nello stile migliore di cui è capace mette per iscritto la risposta che avrebbe ferito a morte l’avversario, e che non ha avuto la prontezza di dare.

Potrà sembrare una divagazione antiquaria – a chi importa, poi, dell’origine e della fortuna di un modo di dire francese? – e il lettore potrà chiedersi perché la questione mi paia tanto decisiva. Apra allora Rhumbs di Paul Valéry, e mediti questo aforisma: “Letteratura, ovvero – la vendetta dell’esprit de l’escalier”. L’intuizione è vertiginosa. La letteratura, per intero, sarebbe quindi una gigantesca amplificazione di quella macchinosa rivalsa, di quella vendetta differita che l’uomo sensibile escogita quando riceve uno scacco (non nel senso di Gossage e Vardebedian). La risposta mancata prende secondo i casi le vie tortuose del romanzo, del trattato, del pamphlet. Sotto questa luce – che Nietzsche seppe fare abbagliante – non si potrebbero forse rileggere le tappe del passaggio dalla cultura orale alla civiltà della scrittura, e soprattutto della stampa? Quando le parole, che nel contesto teso e agonistico dell’oralità erano “divinità momentanee” svanenti nell’aria, si possono conservare in una ghiacciaia di segni incorruttibili per servirle fredde, come si dice vada servita una vendetta, ecco che gli “uomini sensibili” di Diderot hanno in pugno l’arma della loro rivalsa. E la storia della letteratura diventa tutt’uno con la storia del risentimento.

Il Foglio, 30 luglio 2016

Written by Guido

agosto 2, 2016 a 12:39 PM

2 Risposte

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  1. una domanda: ma la risposta scritta dall’uomo sensibile, alla fine, la farà “leggere” in qualche modo “all’avversario”, oppure rimarrà ferma in qualche polveroso diario personale?

    Giangius

    agosto 2, 2016 at 1:49 PM

  2. l’inverso dell’esprit è il p.s.

    eliaspallanzani

    agosto 2, 2016 at 1:51 PM


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