Guido Vitiello

La biblioteca dei Padri weimariani (Mani bucate, 31)

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Chi l’avrebbe detto che fondare un Ordine mendicante fosse così costoso. Alle porte dei Padri weimariani bussano senza tregua i postulanti, e in un paio di giorni il noviziato si è affollato contro ogni speranza, alleluia! Da queste pagine è arrivato frate Adriano (“Futili sono sempre le circostanze dei trapassi d’epoca”; ma “sotto la futilità spesso grottesca delle increspature di superficie passano correnti profonde spesso destinate a farsi invincibili. È la partita dell’occidente contro l’occidente”). Frate Antonio, già abate dei Monaci riformisti, ha scritto sul Corriere che si prepara “l’esplosione di ogni residuo centro di mediazione in una frammentazione di stampo weimariano”. Ma è da largo Fochetti che si è formata la processione più lunga. Il converso Michele, che coltiva sull’Amaca il vizio capitale dell’accidia, si è riscosso per dirci che dobbiamo capire se tra Weimar e il fascismo “c’è un nesso diretto e inevitabile, oppure esistono vie di scampo”. A frate Ezio è stato rivelato che oggi “finisce quel lunghissimo dopoguerra in cui la democrazia sembrava aver concluso da vincitrice la contesa con i due totalitarismi”. Infine l’adesione più piena, da frate Paolo Rumiz: “Tutto è davvero possibile. Karl Kraus, negli anni Venti, parlò dello stato di sonnambulismo in cui si trovava l’Europa alla vigilia della Grande Guerra. Facce da clown, disse, recitarono un copione da tragedia. Immagine perfetta anche per descrivere i populisti di oggi”.

Sono tanti, sono troppi, ma quel che mi preoccupa non è tanto ospitarli e nutrirli – un pagliericcio e un tozzo di pane il buon Dio non ce li farà mancare; il mio cruccio, piuttosto, è metter su una degna biblioteca per l’Ufficio delle letture, con i testi che prefigurano l’Apocalisse della Repubblica. Vi darò conto, in questa rubrica, di quel che riesco a racimolare tra acquisti compulsivi e donazioni. Intanto ho ripescato qualche pagina da leggere insieme ai miei confratelli, giusto il necessario per le prime incombenze. Prima lettura: “Tutto quel tramestio di voci, di frasi, di votazioni ecc. che si chiama volgarmente ‘vita politica’ è una specie di grossa commedia (grossa ma di rado grandiosa; spesso ridicola) organizzata da quelli che hanno voglia di mangiare il meglio del pranzo senza far vedere le zampe. La democrazia, com’è oggi nei principali paesi del mondo, non è che un paravento ideologico-parlamentare per ricoprire gli affari dei veri poteri – soprattutto del Denaro che su tutti gli altri primeggia”. Seconda lettura: “Io credo, con fede sempre più profonda, che il Parlamento in Italia sia il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo. C’è da rabbrividire al pensiero che si trovano, in questo momento, a Roma più di duecento deputati. E costoro tramano, brigano, ciarlano: non hanno che un pensiero: conservare la medaglietta; non hanno che una speranza: quella di entrare – sia pure come la quinta ruota del carro – in qualche ‘combinazione’ ministeriale’”. Terza lettura: “Gli uomini politici professionali costituiscono un gruppetto d’una scarsa diecina di migliaia di persone che tengono a soqquadro l’Italia, litigando intorno a cinquecento posti di deputato, quasi altrettanti di senatore (…). La sproporzione è troppo forte. Da una parte quarantacinque milioni di esseri umani, dall’altra diecimila vociatori, scrivitori, sfruttatori, iettatori (…). Noi non abbiamo bisogno che d’essere amministrati: e quindi ci occorrono degli amministratori, non dei politici”.

I testi sono di Giovanni Papini, Benito Mussolini e Guglielmo Giannini; e vengono tutti dall’antologia Reazionaria, a cura di Piero Meldini, pubblicata da Guaraldi nel 1973. Dimenticavo, sulla copertina c’è una svastica fatta di fiori intrecciati, come un omaggio funebre. Pace e bene a tutti!

Il Foglio, 4 febbraio 2017

Una Risposta

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  1. “ 29 marzo 1994 – « “ La terza Roma mi fa schifo. È degna del suo parlamento e della borghesia che l’abita. Io vorrei che, sulla borghesia immonda e scema, Dio facesse piovere le fiamme. La disprezzo perché è stupida e insulsa. Io, da qui innanzi, non amerò che i poveri, i santi e i briganti. I santi perché portano Dio dentro di sé, e i briganti perché vanno nella strada a levare i portafogli. Soltanto i poveri sono degni della mia profonda compassione e del mio rispetto. “ » (Ugo Carraresi alias Domenico Giuliotti in Gli egoisti di Federigo Tozzi, [1923]) “.

    acabarra59

    febbraio 8, 2017 at 1:08 PM


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