Posts Tagged ‘Ezio Mauro’
La biblioteca dei Padri weimariani (Mani bucate, 31)
Chi l’avrebbe detto che fondare un Ordine mendicante fosse così costoso. Alle porte dei Padri weimariani bussano senza tregua i postulanti, e in un paio di giorni il noviziato si è affollato contro ogni speranza, alleluia! Da queste pagine è arrivato frate Adriano (“Futili sono sempre le circostanze dei trapassi d’epoca”; ma “sotto la futilità spesso grottesca delle increspature di superficie passano correnti profonde spesso destinate a farsi invincibili. È la partita dell’occidente contro l’occidente”). Frate Antonio, già abate dei Monaci riformisti, ha scritto sul Corriere che si prepara “l’esplosione di ogni residuo centro di mediazione in una frammentazione di stampo weimariano”. Ma è da largo Fochetti che si è formata la processione più lunga. Il converso Michele, che coltiva sull’Amaca il vizio capitale dell’accidia, si è riscosso per dirci che dobbiamo capire se tra Weimar e il fascismo “c’è un nesso diretto e inevitabile, oppure esistono vie di scampo”. A frate Ezio è stato rivelato che oggi “finisce quel lunghissimo dopoguerra in cui la democrazia sembrava aver concluso da vincitrice la contesa con i due totalitarismi”. Infine l’adesione più piena, da frate Paolo Rumiz: “Tutto è davvero possibile. Karl Kraus, negli anni Venti, parlò dello stato di sonnambulismo in cui si trovava l’Europa alla vigilia della Grande Guerra. Facce da clown, disse, recitarono un copione da tragedia. Immagine perfetta anche per descrivere i populisti di oggi”. Leggi il seguito di questo post »
Salvatore Settis e la sua orchestra
Non è impresa da poco metter su un’orchestra, specie se si ha l’ambizione di fare grande musica. E la Costituzione è come un bellissimo spartito, lo disse Giuseppe Tesauro quando fu eletto presidente della Consulta. Rimpiango quindi di non aver fatto studi musicali, perché in queste cose non ci s’improvvisa, non è materia da strimpellatori. Pensate solo alla perizia che ci vuole per raggiungere il delicato equilibrio della sezione degli ottoni, così da coprire tutta l’estensione delle voci, dalle più squillanti alle più gravi e pompose: il corno, la tromba, il trombone, il basso tuba, il Salvatore Settis. Non è impresa da poco, ma esiste un’altra via? “La Costituzione spartito di libertà” era il titolo di un incontro musicale organizzato l’anno scorso dal gruppo di Don Ciotti, con il cantautore Gianmaria Testa e con Caselli (Gian Carlo, non Caterina). Ma la Carta non è musica leggera. I temerari che hanno tentato di metterla in canzonetta – da Claudio Baglioni, che gorgheggiò sui principi fondamentali e donò il brano a Repubblica, con tanto di lettera dedicatoria a Ezio Mauro, a Shel Shapiro, che riuscì a far suonare i primi undici articoli più o meno come Stasera mi butto di Rocky Roberts – non hanno avuto fortuna; né è riuscito a far di meglio Gherardo Colombo, animatore dell’ala giovanile del conservatorio costituzionale, tra la musica balcanica dei concertoni del primo maggio e gli spettacoli con il rapper Piotta. Leggi il seguito di questo post »
Rituali di degradazione, da Cusani a Ruby
Il motto di Oscar Wilde – “Non leggo mai un libro che devo recensire, per non farmi influenzare” – si presta bene anche ad alcuni processi. Per parte mia, ignoro tutto l’ignorabile del processo Ruby e del bis e del ter, non ho letto una riga delle carte, non mi aspetto un bel niente dalle motivazioni e tutto sommato do poco peso alle alterne sentenze, che equivalgono spesso al rigirare la carne sulla griglia a metà cottura (la bistecca essendo l’imputato); ma si tratta di un’ignoranza deliberata, metodologica, programmatica. Tutto quel che mi serviva sapere della vicenda è racchiuso in un delizioso quadretto allegorico che nessuno si è dato ancora la pena di studiare nelle sue mille implicazioni, nei suoi mille sottintesi: la pubblica abiura di Lele Mora, che per compiacere i giudici adottò nelle sue dichiarazioni spontanee gli ipsissima verba degli editoriali di Repubblica – dismisura, abuso di potere, degrado, “tre parole che ho letto sui giornali e che condivido”. E che altro c’era da fare, se non l’infinita esegesi di questa singola scena? Appare chiaro che, in casi come questo, ciò che accade nelle aule di tribunale e si deposita negli atti non è che un piccolo segmento di un rituale più vasto, per il quale dobbiamo ancora trovare un nome, o all’occorrenza ripescarne uno antico. Un libro fantasma può essere d’aiuto. Leggi il seguito di questo post »
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