Guido Vitiello

Posts Tagged ‘Michele Serra

La biblioteca dei Padri weimariani (Mani bucate, 31)

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Chi l’avrebbe detto che fondare un Ordine mendicante fosse così costoso. Alle porte dei Padri weimariani bussano senza tregua i postulanti, e in un paio di giorni il noviziato si è affollato contro ogni speranza, alleluia! Da queste pagine è arrivato frate Adriano (“Futili sono sempre le circostanze dei trapassi d’epoca”; ma “sotto la futilità spesso grottesca delle increspature di superficie passano correnti profonde spesso destinate a farsi invincibili. È la partita dell’occidente contro l’occidente”). Frate Antonio, già abate dei Monaci riformisti, ha scritto sul Corriere che si prepara “l’esplosione di ogni residuo centro di mediazione in una frammentazione di stampo weimariano”. Ma è da largo Fochetti che si è formata la processione più lunga. Il converso Michele, che coltiva sull’Amaca il vizio capitale dell’accidia, si è riscosso per dirci che dobbiamo capire se tra Weimar e il fascismo “c’è un nesso diretto e inevitabile, oppure esistono vie di scampo”. A frate Ezio è stato rivelato che oggi “finisce quel lunghissimo dopoguerra in cui la democrazia sembrava aver concluso da vincitrice la contesa con i due totalitarismi”. Infine l’adesione più piena, da frate Paolo Rumiz: “Tutto è davvero possibile. Karl Kraus, negli anni Venti, parlò dello stato di sonnambulismo in cui si trovava l’Europa alla vigilia della Grande Guerra. Facce da clown, disse, recitarono un copione da tragedia. Immagine perfetta anche per descrivere i populisti di oggi”. Leggi il seguito di questo post »

Profondo Rep.

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Segnalo agli storici del costume che dopo la macabra “moda alla ghigliottina” di fine Settecento – le dame aristocratiche con un nastro di seta rossa al collo per ricordare le vittime del Terrore – bisognerà dar conto del non meno macabro revival della Polaroid brigatista, lanciato da Ezio Mauro per il quarantennale di Repubblica. In verità lui li chiama “selfie dei lettori con il primo numero”, ma per chiunque guardi la galleria sul sito di Rep. l’evocazione è inequivocabile, tanto più che il titolo di apertura del 14 gennaio 1976 era “L’incarico a Moro”. Le famiglie dei lettori possono rassicurarsi: sono tutti vivi e in salute. Confesso, volevo unirmi al carnevale, avevo pure ripescato in soffitta quel numero 1 che per centocinquanta lire mio padre comprò. Ma poi ho pensato che non ne avevo il diritto, perché l’essenza di Repubblica – lo ha ribadito Mauro alla grande festa all’Auditorium di Roma – è lo spirito di club, e io a quel club (un po’ per via di Groucho Marx, un po’ perché all’epoca avevo due mesi) non mi sento di appartenere granché. Quindi ho fatto qualcosa di meglio, ho letto il primo numero da cima a fondo, dalla pubblicità della Sanyo in alto a pagina 1 a quella dei mangimi Mignini in basso a pagina 24, se non altro in cerca di indizi, di premonizioni, di segnali che potessero spiegare la mia triste inappartenenza. Leggi il seguito di questo post »

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gennaio 17, 2016 at 2:35 PM

L’algoritmo di Michele Serra

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serracuoreRicordo una folgorante letterina di Mattia Feltri, qui sul Foglio, che cercava di individuare l’algoritmo della famosa regola dei vent’anni, quella per cui la sinistra riconosce, con vent’anni di ritardo appunto, che alcune cose che aveva ritenuto aberranti, losche, impresentabili, frivole, se non addirittura incarnazioni del male assoluto, a guardar bene tanto cattive non erano. Immagino fosse il 2001, perché l’occasione era il film La stanza del figlio di Nanni Moretti, che suscitò un’improvvisa infatuazione di gruppo per il tema della morte. La sequenza di passi descritta da Feltri – che si può applicare indifferentemente a Nietzsche, Monicelli, gli album Panini, Il Signore degli Anelli, Carosello, la castità, le Kessler, la Mitteleuropa – è questa: 1) Una stronzata di destra; 2) Una commovente scoperta; 3) Da sempre patrimonio della sinistra. Formulazione ammirevole, ma incompleta. A questa efficiente procedura di rimozione, falsa coscienza, cancellazione delle tracce e creazione di una continuità fittizia tra posizioni inconciliabili occorre aggiungere un ulteriore passo, logicamente conseguente, ossia: 4) Chiunque d’ora in poi farà l’affermazione di cui al punto 1 (esempio: “Alberto Sordi è una stronzata di destra”), da noi consensualmente ripudiata, sia deriso e trattato da pusillanime. Leggi il seguito di questo post »

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novembre 24, 2013 at 12:02 PM

La lotta di classe, da Gramsci-Togliatti a Gassman-Tognazzi

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montaggioanalogicoUno attende per anni sulla sponda del fiume, finché un giorno l’occasione arriva; l’occasione, intendo, per raccontare l’incontro più surreale della mia vita. Fu a Londra, nel 2007, durante una conferenza sui cult movies che surreale lo era già di suo. C’era, tra i relatori, una dottoranda giapponese che viveva in California e parlava un perfetto italiano. Lo aveva studiato per anni, mi confidò, con uno scopo preciso: vedere in lingua originale i film con Franco e Ciccio, che erano al centro dei suoi interessi accademici. Ai suoi occhi, ero un privilegiato; ai miei occhi, era una pazza furiosa. Ma a Londra era venuta per parlare d’altro, ossia del cinema “decamerotico”, le commedie sexy in costumi medievali come I racconti di Viterbury, Fratello homo sorella bona e Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno. Si era persuasa che quei film dei primi anni Settanta, con le loro storie di adulterio, cinture di castità scassinate e crociati cornificati, riflettessero meglio di tante opere maggiori le tribolazioni della società italiana alle prese con l’introduzione del divorzio. Dovetti riconoscerlo: la giapponese pazza aveva ragione. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

giugno 22, 2013 at 1:00 PM

Pasolinevolissimevolmente

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PasoliniPasolinianamente. Lo ha detto Matteo Renzi a “Porta a Porta” qualche giorno fa, per spiegare che in Val di Susa, come a Valle Giulia, lui simpatizzava coi poliziotti. A quanto pare per difendere le forze dell’ordine bisogna tirare in ballo Pasolini (“scelbianamente” o “bavabeccarisianamente” non suonano altrettanto bene). Ci siamo distratti un momento, e Pasolini è diventato un avverbio. Michele Serra lo ha messo addirittura tra parentesi, ammiccando a chi sa intendere. Le folle che si accampano la notte fuori dai centri commerciali per gli sconti sui telefonini segnano, ai suoi occhi, “la scomparsa (pasoliniana) di ogni spiraglio di libertà”. Scomparsa non bastava, ci voleva quell’aggettivo per suggerire che la colpa, scava scava, è del miracolo economico, e che i tumulti (manzoniani) per il pane avevano una loro dignità, quelli per il companatico ancora ancora, ma quelli per le brioche sono roba da nuovi mostri. La notizia, ad ogni modo, è che Pasolini ha perso la maiuscola ed è a un passo dal diventare un nome comune. Avverbio, aggettivo: le prossime tappe potrebbero essere l’imprecazione, diciamo un equivalente di “mannaggia” con connotazioni di disastro antropologico (pasolini, come siamo caduti in basso!), o l’intercalare strascicato da centro sociale (voglio dire, nella misura in cui, insomma pasolini, il neoliberismo ha espropriato i beni comuni). Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

giugno 8, 2013 at 8:39 PM

Confessioni di un anticomunista viscerale

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Uno dei primi ricordi di mio padre risale agli anni della guerra, quando non aveva neppure quattro anni: un soldato inglese gli regalò del cioccolato, un tedesco gli strappò dalle mani gli occhiali da sole della mamma. A un grado embrionale, dunque, la sua coscienza politica si formò con lo stesso meccanismo di certi esperimenti sull’apprendimento degli scimpanzé: banane e scosse elettriche. Nel mio caso le cose furono più ingarbugliate, lo schema elementare di simpatie e antipatie su cui si regge ogni coscienza politica non trovò appigli così saldi: le mie passioni civili erano costrette a fluttuare. Nel 1989, a tredici anni, appresi dell’esistenza del Muro nello stesso istante in cui lo vidi crollare. Da lì in poi, fu come assistere a una partita in cui, nottetempo, qualcuno avesse cancellato le linee di gioco: per orientarmi ci vollero anni di letture, congetture e arrabbiature. Se mio padre riassaporasse oggi quel cioccolato, chissà, qualcosa risveglierebbe la potenza dell’originario insight – alleati buoni, nazisti cattivi. Io devo accontentarmi di madeleine molto più astratte: la stagione della mia formazione politica è riaffiorata quando mi sono trovato tra le mani il libretto postumo di un autore che allora si sentiva nominare spesso, François Furet. S’intitola Inventaires du communisme e non fa che affinare le tesi del Passato di un’illusione, analisi e anamnesi di una fata morgana (quella comunista) di cui egli stesso era stato in balìa. Ebbene, fu proprio grazie ai detrattori di Furet che feci la mia conoscenza con una coppia inseparabile di sostantivo e aggettivo: era, dicevano, un «anticomunista viscerale». E questo, a quanto pare, non andava bene. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

agosto 20, 2012 at 7:13 PM