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Caffè scorretto
Nanni Moretti non ha mai girato quel musical sul pasticciere trotzkista nella Roma degli anni Cinquanta, ed è un peccato: poteva essere il suo miglior film. Il mondo invece andrà avanti tranquillamente senza il racconto che sognai di scrivere un’estate di quindici anni fa, e che avrebbe dovuto intitolarsi “Caffè scorretto”. Era la storia di un comunista ravveduto, un omaccione corpulento e sanguigno, che negli anni Novanta apriva una pasticceria a Trastevere. I dolci che preparava erano i più buoni di Roma, ma a ciascuna delle sue specialità aveva dato un nome politicamente scorrettissimo. Leggi il seguito di questo post »
Rudimenti di una teoria politica della gaffe
Hai voglia a salire e ridiscendere tutti i gradini dell’esprit de l’escalier, ci sono passi falsi sociali da cui non c’è speranza di riaversi: si resta a terra azzoppati a ruminare e a maledirsi per l’eternità. Il caso più clamoroso di cui abbia notizia è quello di un mio amico capitato, molti anni fa, tra i convitati di una festicciola in casa di una semisconosciuta. Orbitava spaesato intorno al tavolo con le patatine e le bibite, senza trovare un bandolo, un appiglio, un varco per mescolarsi con la comitiva, quando arrivò una telefonata straziante: un amico della festeggiata era morto, appena diciottenne, in un incidente stradale. Lui, che se ne stava al margine della conversazione col suo bicchiere di plastica in mano, forse acquattato dietro una grande pianta, riuscì a captare qualche brandello di frase, e si persuase non ricordo come che la vittima dell’incidente fosse il gatto della padrona di casa. Gli parve l’occasione per uscire dall’ombra. Si accostò alla ragazza in lacrime e le disse, con le migliori intenzioni del consolatore: “Non essere triste, in fondo è vissuto abbastanza. Pensa, il mio gatto è morto a quindici anni”. Ecco, dopo una sortita così gloriosamente infelice non esiste riabilitazione, perlomeno in terra. Anche perché i tentativi affannosi di riscattarsi da una gaffe generano di solito gaffe di secondo e terzo grado, ed è un peccato che non esista un verbo per descrivere questo inabissarsi nell’inferno sociale, neppure una di quelle parole tedesche composte lunghe come trenini. Leggi il seguito di questo post »
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