Guido Vitiello

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La scrofa ferita e il comico mannaro

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Cominciò con la lapidazione rituale del cinghiale sotto una grandine di monete, il 30 aprile di ventitré anni fa; ed è finita, la Seconda repubblica, con l’abbattimento della scrofa ferita, nel tripudio del 4 dicembre. Quando una compagine civile si disgrega, dalle sue crepe riaffiora la forma più arcaica di assembramento umano, quella che Elias Canetti chiamava “muta di caccia”. Gli uomini la appresero dai branchi di lupi, capaci di circondare e sbranare un grosso animale; le leggende sui lupi mannari, si legge in Massa e potere, attestano la prossimità tra le due specie, canide e umana. E come è rivelatrice, la vita segreta delle metafore: dopo aver azzannato la scrofa, Beppe Grillo ha scritto sul blog: “Mi dispiace, non sarò il vostro comico mannaro”. Lì va cercata, diceva Canetti, la matrice dei linciaggi: “La muta vuole una preda: vuole il suo sangue e la sua morte. Deve inseguirla veloce e senza lasciarsi distrarre, con astuzia e tenacia, per afferrarla. La muta si incoraggia abbaiando tutta insieme”. Può abbaiare “Bettino, vuoi pure queste?”, o può abbaiare “Onestà, onestà”: poco cambia. Dal flash mob al lynch mob il passo è breve. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

dicembre 30, 2016 at 6:14 PM

Tintinnio di bilance

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canstockphoto14424108L’iconografia giudiziaria è disseminata di tranelli. Scriveva Francesco Carnelutti (Le miserie del processo penale, 1957) che anche le manette sono un emblema del diritto; “forse, a pensarci, il più autentico dei suoi emblemi, ancora più espressivo della bilancia e della spada. Bisogna che il diritto ci leghi le mani”. La belva aggiogata torna allora ad apparirci uomo, risvegliando la nostra compassione. Dubito che il grande giurista sarebbe riuscito a ripetere senza tremare queste parole, pur così ispirate ed evangeliche, davanti alle miserie delle nostre cronache, al deputato grillino che sorride con ferocia ebete mimando i ferri ai polsi, ai sadomasochisti giudiziari del Fatto Quotidiano che per la retata dell’Expo tornano a mettere le manette in prima pagina (le stesse che avevano usato, cinque anni fa, per la bocciatura del lodo Alfano: neppure si sono sprecati a disegnarne di nuove) sotto quel titolo francamente ributtante, “Vanno a prenderli uno per uno”. La nausea è tale che quanti hanno ancora a cuore i principi elementari della civiltà giuridica – ormai un “piccolo resto”, per dirla biblicamente – devono pescare dal mobiletto dei farmaci la pagina in cui Sciascia avvertiva che se al simbolo della bilancia si sostituisse quello delle manette saremmo perduti senza rimedio. Per un istante il discrimine torna ad apparire nitido: di là le manette, di qua la bilancia; di là la muta ringhiosa dei linciatori, di qua la sobria invocazione della legge uguale per tutti. Ma l’iconografia giudiziaria è insidiosa come un cattivo sogno, le linee si annebbiano, e ti ritrovi a pensare, trasalendo, che oggi dobbiamo aver paura soprattutto della bilancia. Leggi il seguito di questo post »