Giudici a fumetti. Camilleri, Lucarelli, De Cataldo
Due parole, intanto, per sbrigare la pratica strettamente recensoria: Giudici (Einaudi), terzetto di racconti giudiziari di Andrea Camilleri, Giancarlo De Cataldo e Carlo Lucarelli, è un brutto libro. Sono racconti sintetici, ma non nel senso della brevità, nel senso della plastica. Il giudice di Camilleri, un piemontese mandato in terra di mafia appena dopo l’Unità d’Italia, è una rifrittura dello stereotipo del funzionario schivo e integerrimo, e per umanizzarlo lo scrittore di Porto Empedocle non trova di meglio (santo cielo) che attribuirgli un debole per i cannoli siciliani. Lucarelli, dei tre il più plasticoso, s’inventa una giudice ragazzina presa nella trappola della strategia della tensione all’alba della strage di Bologna, e per calarci nell’estate del 1980 tutto quello che sa fare è frugare nel palinsesto Rai e nei juke-box dell’epoca: due strofe di Gianni Togni, e lo scenario è allestito. De Cataldo escogita un’ingarbugliata variazione sul tema di In nome del popolo italiano (debitamente citato, en passant) dove un buon giudice deve vedersela con un sindaco berluscomorfo, furbo e maneggione ma ahimè anche simpatico. Il racconto non parte male, poi dei carabinieri si mettono a cantare su un ritmo hip hop “Lasciate ogni speranza, oh yeah, o voi ch’entrate” e anche De Cataldo va a farsi benedire.
Se il libro è così brutto, perché occuparsene allora? Per dispetto? Ma il vero dispetto, agli incolpevoli autori, lo ha fatto l’estensore del risvolto di copertina. Va’ a fidarti degli editori: quando uscì Nel labirinto degli dèi di Antonio Ingroia, la scheda di presentazione si avventurava a dire che il pm, “da potenziale personaggio di un’opera di Leonardo Sciascia” era diventato “riconoscibile epigono del grande scrittore siciliano”. Nel caso di Giudici, il risvolto si limita a collocare il libro nella tradizione “che va da Manzoni a Sciascia, da Dostoevskij a Kafka”. Bene. Mettiamo da parte il valore letterario – rinfacciare a uno scrittore di non essere Kafka è canagliesco – e passiamo in rassegna, per parole chiave, il rapporto di questi grandi con i tribunali. Manzoni: colonna infame; inquisitori; azzeccagarbugli; giudici al servizio dei signorotti. Sciascia: inquisitori (molti); giudici tormentati dal peso d’esser giudici; professionisti dell’antimafia. Dostoevskij: grandi e piccoli inquisitori (di nuovo); il giudice istruttore Petrovic convinto – a ragione, ma senza prove – della colpa di Raskolnikov. Kafka: giudici imperscrutabili; lungaggini burocratico-metafisiche; condanne atroci. Tanto basta per capire che i tre pistoleros Einaudi non solo non si collegano a questa tradizione, ma ne sono agli antipodi.
Se Giudici è interessante, è perché testimonia la deriva fumettistica della letteratura giudiziaria in Italia. Più che proseguire una tradizione (e men che mai quella, estinta, di Manzoni e Sciascia), i tre racconti pescano nel mazzo dei santini devozionali ricorrenti nella fiction – letteraria, televisiva o giornalistica poco importa. Dove la giustizia è per definizione la giustizia dell’emergenza, e il magistrato è il magistrato in lotta: contro la mafia (Camilleri), le trame occulte (Lucarelli) o la politica corrotta (De Cataldo). L’ordinaria amministrazione non trova spazio, né qui né altrove, e con essa tanta altra materia da romanzo: il giovane che vinto il concorso si dà a smanie di giustiziere o di tribuno, lo sfaticato che lascia impolverare le carte o si scorda l’indagato in carcere, il legame tra il magistrato e il suo pentito (e sì, qui ci vorrebbe un Dostoevskij), il pm che s’innamora della sua tesi come fosse un romanzo (De Cataldo, giudice a latere nel processo Marta Russo, dovrebbe saperne qualcosa), per non parlare della figura più letteraria di tutte, l’intercettatore. Ce n’è, di cose da raccontare. E allora perché ammannirci sempre questi galantuomini solitari, vestali della legge, meglio se con un cappotto rattoppato e un fidato aiutante che li raccomanda di non affaticarsi troppo?
Articolo uscito sul Foglio il 20 settembre 2011 con il titolo Tre scrittori Einaudi per un santino di plastica sui giudici innaturali
Chissà perché, oggi che vanno tanto di moda i giudici scrittori, tutti hanno dimenticato Dante Troisi e il suo crudelissimo Diario, che gli valse una censura dal CSM… o almeno Ugo Betti, “Corruzione al palazzo di giustizia”. Oggi solo santini (e santoni….)
GD
settembre 21, 2011 at 5:45 PM