Guido Vitiello

Posts Tagged ‘Giancarlo De Cataldo

I, the Jury. De Cataldo a Venezia (Mani bucate, 16)

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Con un bel titolo spaccone da romanzo di Mickey Spillane – “Io, giurato” – Repubblica ha presentato lunedì il diario del magistrato-scrittore Giancarlo De Cataldo sui suoi giorni al festival di Venezia. Niente noiose incombenze tribunalizie, niente motivazioni da depositare, lo smoking al posto della toga, film non tutti esaltanti ma comunque più spassosi di una sfilata di testimoni, periti e imputati, Sam Mendes a presiedere l’assise, bellezze come Nina Hoss e Gemma Arterton che ti aspettano in camera di consiglio. Eppure, ci vuole ben altro per mandare in vacanza la deformazione professionale. Alla fine, come si sa, hanno premiato un film filippino su una donna che si è fatta trent’anni di carcere per un omicidio di cui era innocente, una storia ambientata nel 1997. “Aspettiamoci critiche. Un mio vecchio capo diceva: quando una sentenza scontenta tutti, allora è giusta”. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

settembre 19, 2016 at 12:14 PM

Il circo mediatico-letterario. Intorno a “Romanzo criminale”

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Dalla cronaca al romanzo, dal romanzo al film, dal film alla serie tv, dalla serie tv di nuovo al romanzo, e poi tutto daccapo, come in un rondò schnitzleriano. Un circo mediatico-letterario, messo in moto non per nulla dal libro di un magistrato. Dieci anni fa Giancarlo De Cataldo pubblicava Romanzo criminale, ispirato alle vicende della Banda della Magliana. Oggi torna a visitare quel mondo con Io sono il Libanese (Einaudi), che racconta l’apprendistato del fondatore della banda, e che nel titolo fa eco al grido inaugurale del primo romanzo: «Io stavo col Libanese!». Il cerchio sembra chiudersi, ma non è un cerchio, è una spirale, una scala a chiocciola dove a ogni giro ci si allontana un poco più da terra, fino a smarrirsi tra le nebbie del mito. Nelle prime pagine di questo Bildungsroman criminale il giovane Libanese, intontito dal marocchino (inteso come hashish), ha una gloriosa premonizione: «Era nudo, e dominava Roma da una magnifica terrazza piena di fiori e piante esotiche». Più che il figlio di un fornaio di Trastevere pare il Leonida della saga 300 di Frank Miller, dove il re spartano diventa un body-builder col sospensorio. «Il Libanese era una macchina da guerra, il Libanese era il dio stesso della guerra». Ma era «un guerriero che un giorno sarebbe stato re», perché aveva un’idea chiara del suo destino: «Voleva diventare il re di Roma». Come si è giunti a queste vette di sublime pacchianeria antico-romana? Continua a leggere su La Lettura

Written by Guido

luglio 15, 2012 at 12:51 PM

Non ci fanno, ci sono. De Cataldo e l’ideologia dei magistrati

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Non chiamiamola faccia di bronzo, per quanto forte sia la tentazione, e quella falsa saggezza tutta inquisitoria secondo cui a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca lasciamola alle anime grigie e incattivite. Resta però il problema di spiegare in qualche altro modo fenomeni curiosi come l’indignazione civile di Ilda Boccassini per le intercettazioni pubblicate sui giornali, il richiamo alla serietà rivolto ai media qualche mese fa da Antonio Ingroia per la “kermesse” scatenata intorno al caso Ciancimino, le doglianze dei pm del processo Meredith per l’intollerabile “pressione mediatica” e la “Caporetto dell’informazione”. Sembra di capire che per certi magistrati il vento dei media sia buono o cattivo a seconda che soffi in poppa o schiaffeggi la prua. Qualcosa non torna, ed è lo stesso qualcosa che non tornava già nel caso Tortora, grande prova generale dei tempi nuovi. Dopo l’assoluzione in appello, quand’era in corso la campagna referendaria per la responsabilità civile dei magistrati e l’immagine della Procura di Napoli certo non rifulgeva, un giudice si lagnò con i giornali perché “quel maledetto processo” aveva turbato il “buon modo silenzioso di amministrare la giustizia”. Leggi il seguito di questo post »

Giudici a fumetti. Camilleri, Lucarelli, De Cataldo

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Due parole, intanto, per sbrigare la pratica strettamente recensoria: Giudici (Einaudi), terzetto di racconti giudiziari di Andrea Camilleri, Giancarlo De Cataldo e Carlo Lucarelli, è un brutto libro. Sono racconti sintetici, ma non nel senso della brevità, nel senso della plastica. Il giudice di Camilleri, un piemontese mandato in terra di mafia appena dopo l’Unità d’Italia, è una rifrittura dello stereotipo del funzionario schivo e integerrimo, e per umanizzarlo lo scrittore di Porto Empedocle non trova di meglio (santo cielo) che attribuirgli un debole per i cannoli siciliani. Lucarelli, dei tre il più plasticoso, s’inventa una giudice ragazzina presa nella trappola della strategia della tensione all’alba della strage di Bologna, e per calarci nell’estate del 1980 tutto quello che sa fare è frugare nel palinsesto Rai e nei juke-box dell’epoca: due strofe di Gianni Togni, e lo scenario è allestito. De Cataldo escogita un’ingarbugliata variazione sul tema di In nome del popolo italiano (debitamente citato, en passant) dove un buon giudice deve vedersela con un sindaco berluscomorfo, furbo e maneggione ma ahimè anche simpatico. Il racconto non parte male, poi dei carabinieri si mettono a cantare su un ritmo hip hop “Lasciate ogni speranza, oh yeah, o voi ch’entrate” e anche De Cataldo va a farsi benedire. Leggi il seguito di questo post »

Neri per caso. Faletti, De Cataldo, Carofiglio

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Quando un non scrittore diventa uno scrittore, e magari uno scrittore di successo, presto si pone il problema di farlo anche apparire come uno scrittore. Quale che sia il suo mestiere di provenienza – magistrato, attore, poliziotto, attore che fa parti di poliziotto – una volta diventato autore di noir (che è oggi la via regia al successo facile) bisognerà dotarlo di un look che evochi senza indugi l’immagine del romanziere.

Ora io non so a chi spetti questa impresa – se all’editore, all’agente, al fotografo della quarta di copertina o allo scrittore medesimo. Quel che so guardando le foto di Giorgio Faletti, Giancarlo De Cataldo e Gianrico Carofiglio, tutti con i loro cappottoni neri, il bavero rialzato, lo sguardo tra il pensoso e l’omicida, è che oggi per dar l’idea di romanziere bisogna essere un incrocio tra Humphrey Bogart e Nosferatu. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

novembre 14, 2010 at 11:21 am