Guido Vitiello

La Terrazzata Potemkin. Lidia Ravera a Stromboli

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StromboliStampIl trattatello di Gustavo Zagrebelsky sulla Lingua Nostrae Aetatis, la lingua del tempo berlusconiano, aveva la bella allure responsoriale del Catechismo di Pio X. Rileggiamo il primo lemma, “Scendere (in politica)”: “Scendere da dove? Da una vita superiore. Scendere dove? In una vita inferiore. Per quale ragione? Per rispondere a un dovere, al quale sacrificarsi. Quale dovere? Salvare un popolo avviato alla perdizione. Con quali mezzi? Mezzi politici”. Il tono liturgico e l’occasionale ricorso al latino ecclesiastico erano ben pertinenti, trattandosi della trasposizione in politica di categorie teologiche. Il redentore secolare, osservava Zagrebelsky, descendit de coelis propter nos homines. È dalle stelle che deve scendere, come vuole la novena, “e non dare l’impressione di salire dal basso, da dove nascono solo creature che si alimentano e vegetano nella putredine”. Eppure, a considerare la retorica dell’antiberlusconismo più ammodo – quello, per intenderci, di Libertà e giustizia, di Repubblica e del Palasharp – siamo costretti a mettere le metafore a testa in giù: Berlusconi non è il falso messia che plana sulla politica come Hitler su Norimberga nel Trionfo della volontà di Leni Riefensthal, bensì la creatura che vegeta nella putredine della volgarità e degli interessi; e il berlusconismo, l’emersione dei nuovi mostri dall’antica palude del qualunquismo nazionale, una variante dell’“invasione verticale dei barbari” di Ortega e Rathenau. E se il Male s’inerpica dal basso, se le porte degli inferi si schiudono sotto i nostri piedi, da dove aspettarsi la salvezza?

Volgiamoci a un’altra storica discesa in campo. Così Lidia Ravera ha spiegato a Paese Sera la scelta di accettare la nomina di Assessore alla cultura nella giunta Zingaretti: “Ho rinunciato alla mia libertà e alla mia vita da privilegiata per impegnarmi alla Regione Lazio (…). Bisogna invertire questa tendenza vergognosa. Il mio è un grande sacrificio: il primo maggio di ogni anno parto per Stromboli e ci rimango fino alla fine di ottobre, da dove produco reddito seduta sul mio terrazzo. Se ho rinunciato a tutto questo deve valerne la pena”. Scendere da dove? Da una vita superiore. Scendere dove? In una vita inferiore. Per quale ragione? Per rispondere a un dovere, al quale sacrificarsi. D’altro canto, il sogno di ogni perseguitato è tornare dall’esilio come liberatore. Lo chiarisce la biografia che la nostra Terrazzata Potemkin ha consegnato al Fatto Quotidiano: “Lidia Ravera è una scrittrice. Ma questo non le impedisce di vivere nel mondo e prendere posizione (le torri d’avorio sono riservate agli opportunisti), quando ce n’è bisogno. Cioè piuttosto spesso. Ha pubblicato 25 libri (quasi tutti romanzi). Il primo l’hanno letto 2 milioni e mezzo di persone: Porci con le ali, 1976. L’ultimo è A Stromboli (Laterza), ed è dedicato all’isola in cui si è relegata da sola, per molti mesi l’anno, dato che l’attuale regime ha abolito il confino politico per i suoi fieri oppositori, sostituendolo con più sottili forme di discriminazione”.

Dio benedica le caricature, specie se viventi, perché illuminano cose che ci stavano sotto il naso ma non notavamo. “C’è poco da ridere o anche solo da sorridere”, aggiungeva Zagrebelsky. “È cosa seria. È una forma mentale perenne e universale, ricorrente nella storia delle irruzioni in politica di tutti i benefattori che si accollano compiti provvidenziali”. Tutto torna, in questo saliscendi dal cielo all’inferno, nel cambiarsi di posto tra cherubini e creature della palude. Tutto torna, salvo questa storia del confino. Perché Ernesto Rossi e Altiero Spinelli scrissero il Manifesto di Ventotene. Lidia Ravera ha scritto A Stromboli. A meno che il titolo non debba intendersi, con un bel punto esclamativo alla fine, come un’allocuzione ai lettori.

Articolo uscito sul Foglio il 27 aprile 2013 con il titolo I sacrifici di Lidia Ravera, che per l’assessorato rinuncia a Stromboli

Written by Guido

aprile 29, 2013 a 5:45 PM

4 Risposte

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  1. Effettivamente la volgarità di quella frase non suscita il riso.

    eliaspallanzani

    aprile 29, 2013 at 10:19 PM

    • Quale frase, cari Spallanzanos? Io, ammetto, le ho trovate divertenti tutte. Ma prima di tutto il “produco reddito”. Quella è il massimo.

      unpopperuno

      aprile 29, 2013 at 10:28 PM

      • Si, proprio “produco reddito”. Non stimavamo l’autrice come autrice, e ora nemmeno come altro che autrice.

        eliaspallanzani

        aprile 29, 2013 at 10:52 PM

  2. “Il mio è ungrande sacrificio” è anche meglio del “produco reddito”. Oscar Wilde: “Ci vuole un cuore di pietra per non mettersi a ridere”.

    Vito Bianco

    Maggio 2, 2013 at 2:19 PM


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