Posts Tagged ‘Ernesto Rossi’
La Terrazzata Potemkin. Lidia Ravera a Stromboli
Il trattatello di Gustavo Zagrebelsky sulla Lingua Nostrae Aetatis, la lingua del tempo berlusconiano, aveva la bella allure responsoriale del Catechismo di Pio X. Rileggiamo il primo lemma, “Scendere (in politica)”: “Scendere da dove? Da una vita superiore. Scendere dove? In una vita inferiore. Per quale ragione? Per rispondere a un dovere, al quale sacrificarsi. Quale dovere? Salvare un popolo avviato alla perdizione. Con quali mezzi? Mezzi politici”. Il tono liturgico e l’occasionale ricorso al latino ecclesiastico erano ben pertinenti, trattandosi della trasposizione in politica di categorie teologiche. Il redentore secolare, osservava Zagrebelsky, descendit de coelis propter nos homines. È dalle stelle che deve scendere, come vuole la novena, “e non dare l’impressione di salire dal basso, da dove nascono solo creature che si alimentano e vegetano nella putredine”. Eppure, a considerare la retorica dell’antiberlusconismo più ammodo – quello, per intenderci, di Libertà e giustizia, di Repubblica e del Palasharp – siamo costretti a mettere le metafore a testa in giù: Berlusconi non è il falso messia che plana sulla politica come Hitler su Norimberga nel Trionfo della volontà di Leni Riefensthal, bensì la creatura che vegeta nella putredine della volgarità e degli interessi; e il berlusconismo, l’emersione dei nuovi mostri dall’antica palude del qualunquismo nazionale, una variante dell’“invasione verticale dei barbari” di Ortega e Rathenau. E se il Male s’inerpica dal basso, se le porte degli inferi si schiudono sotto i nostri piedi, da dove aspettarsi la salvezza? Leggi il seguito di questo post »
Giù le manette! L’Opa ostile sul liberalismo
Piano con i paragoni, forse non è il caso di evocare Ettore trascinato nella polvere dal carro di Achille. La vicenda è decisamente meno epica, e tuttavia ha a che fare con il trattamento riservato alle spoglie dei vinti, con l’aggravante che i vinti in questione non sono mai stati vincitori: parliamo della piccola e nobile tradizione della sinistra liberale e liberalsocialista, oggetto da qualche tempo di quella che potremmo chiamare un’«Opa ostile» editoriale e culturale. Le avvisaglie, a ben vedere, si potevano cogliere quasi vent’anni fa in un volumetto dello storico Furio Diaz intitolato L’utopia liberale (Laterza): pagine e pagine su Tocqueville per concludere che oggi il vero liberalismo radicale si è rintanato «nei fogli di una piccola rivista bimestrale di politica, economia e storia». Indovinate quale? Ma ovviamente Micromega, dove si inneggiava alla «rivoluzione liberale» (sic) di Mani pulite. Ed era solo l’inizio. Una folta cordata di giacobini e sanculotti punta oggi a impossessarsi del liberalismo e del liberalsocialismo italiano, o di quel che ne resta. Lo strumento principe della scalata è la collana Instant Book dell’editore Chiarelettere – azionista del Fatto quotidiano, un catalogo traboccante di libri di Travaglio e compari – dove sono apparsi, in tempi recenti, titoli di Luigi Einaudi, Piero Calamandrei, Sandro Pertini, Ernesto Rossi. Dovremmo esserne lieti, e in un certo senso lo siamo. Ma i pescatori di perle hanno scelto, guarda caso, l’Einaudi sostenitore dell’imposta patrimoniale e il Pertini della questione morale. Dal canto suo il povero Ernesto Rossi, presente in collana con alcuni interventi «contro l’industria dei partiti», deve accollarsi un’introduzione di Paolo Flores d’Arcais che fa l’impossibile per guadagnarlo alla causa dell’epurazione grillina o travagliesca. E non è finita qui. Abbiamo dovuto leggere Un onorevole siciliano (Bompiani), le interpellanze parlamentari di Sciascia avvilite e rese irriconoscibili dalla cura moralistica di Andrea Camilleri. E ancora, un Elogio delle minoranze (Marsilio) di Massimiliano Panarari e Franco Motta, dove un lungo capitolo sul socialismo liberale e i suoi eredi riusciva a non menzionare mai i radicali di Pannella, ma in compenso riconosceva in Repubblica e l’Espresso «due fieri e dichiarati house organ di questo speciale “liberalismo civile”». Insomma, conteso tra Scalfari e Flores. Piano con i paragoni, il liberalsocialismo non è il Messia, ma di certo si stanno giocando a dadi le sue vesti.
Articolo uscito su IL di novembre 2012
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