Fessofurbomachia
Leggo sul nuovo Todomodo, la rivista degli Amici di Leonardo Sciascia, un saggio di Euclide Lo Giudice su un tema che mi pare della massima urgenza storica, ossia il ruolo del cretino e dei suoi fratelli (lo stupido, l’imbecille, il fesso) nella vita nazionale. Nel 1982, per una strenna Giuffrè, Sciascia firmò una breve prefazione al Codice della vita italiana (1917) di Prezzolini, soffermandosi sul primo articolo: “I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi”. Il fesso di Prezzolini paga il biglietto in ferrovia e dichiara al fisco il suo vero reddito; il furbo ha per segni distintivi la pelliccia, l’automobile e le molte donne. Sciascia non poteva che apprezzare l’identificazione tra fessaggine e onestà: il buon fesso in un contesto di furbi, ricorda Lo Giudice, figura spesso nei suoi romanzi, e la frase che suggella il fallimento del professor Laurana in A ciascuno il suo è appunto: “Era un cretino”.
Qualche timida speranza Sciascia la affidava a una constatazione statistica, ossia che i fessi sono più numerosi dei furbi: “Solo che, come gli schiavi di Seneca (‘se gli schiavi si contassero…’), non si contano. E possiamo farcene idea, della schiacciante maggioranza che i fessi verrebbero a formare, solo che avessero consapevolezza del loro numero, dai tanti che quotidianamente e ovunque rimpiangono di non esser furbi”. Se ne deduce che i fessi dovrebbero acquisire la marxiana coscienza di classe, costituire qualcosa come un Fesso collettivo in grado di rovesciare il dominio oligarchico dei furbi. Impresa disperata perché, diceva ancora Prezzolini, il fesso in generale è stupido: se non lo fosse, avrebbe cacciato i furbi da un pezzo.
Sembrano divertimenti da letterati, ma c’è chi li prende tremendamente sul serio, e la fessofurbomachia è stata per molti la chiave di lettura dell’ultimo ventennio. Mani Pulite come primizia tradita della rivoluzione dei fessi; Berlusconi come restauratore dell’Ancien Régime dei furbi; poi, una lunga guerra fratricida tra i due clan accampati sulla penisola. Certo, non tutti attingevano alla fonte prezzoliniana, politicamente un po’ torbida, lasciando che a sguazzarci fossero gli scugnizzi grillini sotto l’occhio di qualche zio montanelliano. Altri preferivano rifarsi all’apologo di Italo Calvino sull’onestà nel paese dei corrotti, che poggia sulle stesse premesse. Il punto di approdo ormai autoparodistico di questa antropologia è un’Amaca della settimana scorsa dove Michele Serra impartiva una sospirosa paternale a un giovane panettiere torinese che, avendo parcheggiato in doppia fila, si ribellava al vigile.
Eppure, se l’ultima stagione italiana è magistra di qualcosa, è che la fessofurbomachia non genera che abbagli. Quasi non c’è fesso, sotto i nostri cieli, che non si presenti foderato da uno spesso strato di furbizia (è la cifra di intere carriere machiavelliche o togliattiane); e il furbo marcia volentieri sotto le insegne dell’onesta fessaggine, può perfino mettersi alla testa del partito dei fessi (è il caso di Di Pietro, prima che lo soppiantasse la superspecie geneticamente modificata dei furbofessi grillini). Abbandoniamo dunque gli schemi semplici, e sforziamoci di immaginare un nastro di Möbius dove la furbizia trascolora insensibilmente nella fessaggine, che a sua volta si rovescia in furbizia, in una ricorsività infinita. Sono lo yin e lo yang del Tao nazionale, dove ciascun principio contiene il seme del proprio opposto. Questo Prezzolini non lo capì, e neppure Sciascia. Lo capì Dino Risi, e con In nome del popolo italiano celò la grande intuizione sotto le spoglie ingannevoli di una fessofurbomachia tra Gassman e Tognazzi.
Pochi se ne accorsero. Ma per l’uscita del film in Polonia, nel 1974, Jerzy Flisak disegnò una locandina stilizzata dove, su fondo bianco, un omino rosso e un omino verde sono intrecciati alle spire di un serpente dell’Eden, che quasi ne fa gemelli siamesi. Quando ci decideremo a mettere in solaio il tricolore di Longanesi con il motto “tengo famiglia”, sappiamo già con che sostituirlo.
Articolo uscito sul Foglio il 22 novembre 2014 con il titolo Fesso collettivo
tra le varie cose buffo-atroci del nostro paese c’è un documento della “Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi”… un documento, dicevamo, che è pletorico come si addice a tale commissione e inopinatamente riassume, tra li altri film, “In nome del popolo Italiano”, sbagliando pure il finale: http://www.google.it/url?url=http://www.senato.it/documenti/repository/leggi_e_documenti/raccoltenormative/30%2520-%2520stragi/Leg.%2520XIII/Doc/XXIII%2520n.%252064%2520Vol%2520I%2520Tomo%2520III.pdf&rct=j&q=&esrc=s&sa=U&ei=l2xyVLjePISeywPy7oFQ&ved=0CBQQFjAA&sig2=Ht0gR4mvrivIM0NwymL22A&usg=AFQjCNGwFtG81E4qFLrjYpQ4A3LxICVXKw
eliaspallanzani
novembre 24, 2014 at 12:30 am