Salvatore Settis e la sua orchestra
Non è impresa da poco metter su un’orchestra, specie se si ha l’ambizione di fare grande musica. E la Costituzione è come un bellissimo spartito, lo disse Giuseppe Tesauro quando fu eletto presidente della Consulta. Rimpiango quindi di non aver fatto studi musicali, perché in queste cose non ci s’improvvisa, non è materia da strimpellatori. Pensate solo alla perizia che ci vuole per raggiungere il delicato equilibrio della sezione degli ottoni, così da coprire tutta l’estensione delle voci, dalle più squillanti alle più gravi e pompose: il corno, la tromba, il trombone, il basso tuba, il Salvatore Settis. Non è impresa da poco, ma esiste un’altra via? “La Costituzione spartito di libertà” era il titolo di un incontro musicale organizzato l’anno scorso dal gruppo di Don Ciotti, con il cantautore Gianmaria Testa e con Caselli (Gian Carlo, non Caterina). Ma la Carta non è musica leggera. I temerari che hanno tentato di metterla in canzonetta – da Claudio Baglioni, che gorgheggiò sui principi fondamentali e donò il brano a Repubblica, con tanto di lettera dedicatoria a Ezio Mauro, a Shel Shapiro, che riuscì a far suonare i primi undici articoli più o meno come Stasera mi butto di Rocky Roberts – non hanno avuto fortuna; né è riuscito a far di meglio Gherardo Colombo, animatore dell’ala giovanile del conservatorio costituzionale, tra la musica balcanica dei concertoni del primo maggio e gli spettacoli con il rapper Piotta.
Il solo ad aver capito che c’è bisogno di un’orchestra vera, ora che il golfo mistico di Montecitorio pare un bivacco di capelloni e di bonghisti, è Gustavo Zagrebelsky, giurista e pianista. Due anni fa, dialogando su musica e politica con il maestro Noseda, Zagrebelsky osservò che la Costituzione “è una sorta di accordatura degli strumenti della democrazia”. Ma questo maggio è andato ben oltre, debuttando come concertista al Teatro Regio di Torino con la terza Sonata per violoncello e pianoforte di Beethoven, in duo con il violoncellista Mario Brunello. Prima di esibirsi, i due maestri hanno tenuto un “Dialogo sull’interpretazione” confrontando le loro esperienze: “Brunello prendendo esempi dal proprio lavoro con le partiture, Zagrebelsky dalla Carta Costituzionale”, recitava l’annuncio dell’evento. Ora, uno scettico dirà che tra interpretare in senso musicale e interpretare in senso giuridico c’è più o meno la stessa distanza che c’è tra l’esecuzione di una sonata di Beethoven e l’esecuzione di un condannato a morte, poniamo Beethoven stesso, in un teatro. Ma io non mi curo di questi cavilli, e ho in programma di scrivere a Zagrebelsky per proporgli la mia idea di un’orchestra della Costituzione. Sarà lui a sollecitare l’amico Stefano per la sezione delle percussioni (già fremo ai colpi del timpanista che scandirà un marziale ro-do-tà), e sarà lui a pregare Salvatore Settis di coordinare gli ottoni.
“La Costituzione è come l’Incompiuta di Schubert”, disse Settis sul palco di Fazio e Saviano, citando Calamandrei. A giudicare da certe sue sortite, mi chiedo se abbia tra le mani lo stesso spartito che ho io, che però vado a orecchio e a malapena riesco a leggere le note. Tempo fa gli ho sentito dire con gran dispetto che Renzi è un presidente del consiglio nominato e non eletto, eppure la mia partitura dice che funziona proprio così; gli ho sentito dire che i partiti con un leader forte, capace di ottenere la disciplina nei propri ranghi, sono contro la Costituzione, e ancora sono qui che cerco l’articolo sul pentagramma; gli ho sentito dire che biblioteche e archivi sono “organi costituzionali”, e la cosa mi ha gettato nella confusione più nera. Probabilmente sono io che ho lo spartito sbagliato, mi avranno rifilato un papiro falso, ma che importa? È il suo timbro che mi incanta, quel timbro sacerdotale e profondo – tuba mirum spargens sonum – che vibra in tutti i talk show e scaccia i mercanti dal tempio.
L’orchestra non potrà farne a meno, ma è un progetto di là da venire. Per adesso, si va avanti a cappella.
Articolo uscito sul Foglio il 29 novembre 2014 con il titolo Costituzione e sonate
Gentile professor Vitiello, mi dispiace, ma proprio devo dirglielo: è evidente che lei non si intende di musica. Io invece, che qualcosina in materia ho studiato, ecco io l’inquietudine di questi signori un po’ la capisco, sa? È che hanno nostalgia dei tempi d’oro della Concertazione, quelli in cui se il direttore emendava lo spartito e diceva di suonare Piano, ma alla prima prova a qualcuno saltava in capo di zufolare, poniamo, Sforzando (spesso in nome dello spartito, appunto), anziché mandare la voce fuori dal coro a farsi accordare, subito si fermava piuttosto il Grande Gioco Della Democrazia e ci si prendeva saggiamente un paio d’anni per valutare se non fosse il caso di cambiare direttore, rinviando sine die la prima.
Alberto Bergamini
dicembre 5, 2014 at 4:51 PM