Guido Vitiello

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Travaglio, Sorrentino e la visione della sacra prostata

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137537d8-e3b0-44ac-be43-f3606460f83cRicapitoliamo. C’è Youth di Sorrentino, con i suoi dialoghi sulla caducità e sulla prostata. C’è Scalfari che minaccia a mezzo stampa un suo De senectute. C’è Berlusconi che fa capolino su Instagram stritolando cagnolini. Da quando Jep Gambardella ha sollevato il coperchio il contagio è irrefrenabile, e la sua eau de parfum si effonde per tutta la nazione. Alludo all’odore delle case dei vecchi, quell’odore che il dandy della Grande bellezza diceva di preferire addirittura alla “fessa”. Non tutti reagiscono allo stesso modo. Silvia Truzzi, per esempio, ci immerge il naso con tossica avidità, e ha appena pubblicato Un paese ci vuole, un libro di conversazioni con ottuagenari che al solo aprirlo manda zaffate di salotto gozzaniano. Ma il caso più interessante è quello di Marco Travaglio nella nuova veste di critico cinematografico. Il suo elogio di Youth, a leggerlo bene, segna un piccolo evento nella psicostoria dell’ultimo ventennio. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

Maggio 24, 2015 at 4:16 PM

Fessofurbomachia

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innomedelpopoloitalianoLeggo sul nuovo Todomodo, la rivista degli Amici di Leonardo Sciascia, un saggio di Euclide Lo Giudice su un tema che mi pare della massima urgenza storica, ossia il ruolo del cretino e dei suoi fratelli (lo stupido, l’imbecille, il fesso) nella vita nazionale. Nel 1982, per una strenna Giuffrè, Sciascia firmò una breve prefazione al Codice della vita italiana (1917) di Prezzolini, soffermandosi sul primo articolo: “I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi”. Il fesso di Prezzolini paga il biglietto in ferrovia e dichiara al fisco il suo vero reddito; il furbo ha per segni distintivi la pelliccia, l’automobile e le molte donne. Sciascia non poteva che apprezzare l’identificazione tra fessaggine e onestà: il buon fesso in un contesto di furbi, ricorda Lo Giudice, figura spesso nei suoi romanzi, e la frase che suggella il fallimento del professor Laurana in A ciascuno il suo è appunto: “Era un cretino”.

Qualche timida speranza Sciascia la affidava a una constatazione statistica, ossia che i fessi sono più numerosi dei furbi: “Solo che, come gli schiavi di Seneca (‘se gli schiavi si contassero…’), non si contano. E possiamo farcene idea, della schiacciante maggioranza che i fessi verrebbero a formare, solo che avessero consapevolezza del loro numero, dai tanti che quotidianamente e ovunque rimpiangono di non esser furbi”. Se ne deduce che i fessi dovrebbero acquisire la marxiana coscienza di classe, costituire qualcosa come un Fesso collettivo in grado di rovesciare il dominio oligarchico dei furbi. Impresa disperata perché, diceva ancora Prezzolini, il fesso in generale è stupido: se non lo fosse, avrebbe cacciato i furbi da un pezzo. Leggi il seguito di questo post »

La lotta di classe, da Gramsci-Togliatti a Gassman-Tognazzi

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montaggioanalogicoUno attende per anni sulla sponda del fiume, finché un giorno l’occasione arriva; l’occasione, intendo, per raccontare l’incontro più surreale della mia vita. Fu a Londra, nel 2007, durante una conferenza sui cult movies che surreale lo era già di suo. C’era, tra i relatori, una dottoranda giapponese che viveva in California e parlava un perfetto italiano. Lo aveva studiato per anni, mi confidò, con uno scopo preciso: vedere in lingua originale i film con Franco e Ciccio, che erano al centro dei suoi interessi accademici. Ai suoi occhi, ero un privilegiato; ai miei occhi, era una pazza furiosa. Ma a Londra era venuta per parlare d’altro, ossia del cinema “decamerotico”, le commedie sexy in costumi medievali come I racconti di Viterbury, Fratello homo sorella bona e Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno. Si era persuasa che quei film dei primi anni Settanta, con le loro storie di adulterio, cinture di castità scassinate e crociati cornificati, riflettessero meglio di tante opere maggiori le tribolazioni della società italiana alle prese con l’introduzione del divorzio. Dovetti riconoscerlo: la giapponese pazza aveva ragione. Leggi il seguito di questo post »

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giugno 22, 2013 at 1:00 PM

La sfida finale: l’Impero contro la Supercazzola

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settembre 10, 2012 at 11:00 am

It’s a plot! Complotti e complottisti d’Italia e d’America

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La cometa di Halley è una trovata pubblicitaria. La Terra è piatta, da Roma a New York non c’è nemmeno mezz’ora di volo, ma lo stato si è messo d’accordo con le compagnie aeree e così a nostra insaputa ci fanno girare in tondo per venti ore. Esistono foto satellitari del pianeta, d’accordo: ma sono grossolani fotomontaggi, si vede pure il bordo bianco attorno all’incollatura, mica ci abbiamo scritto giocondo in fronte. La calvizie? Altro flagello sconfitto da vent’anni, se non fosse che lo stato è in combutta con i “pomatari” delle case farmaceutiche per nascondere ai cittadini il medicamento miracoloso. Chi si ricorda delle strampalate teorie cospiratorie del dottor Gianni Livore, personaggio partorito dal genio di Corrado Guzzanti ormai quindici anni fa? Chiunque volesse studiare il tipo umano del complottista troverebbe in lui tutto quel che gli serve, in quel signore esaurito di mezza età, gli occhi strabuzzati per l’insonnia, ossessionato dal commercialista, dalla burocrazia e dalle analisi mediche, e soprattutto tormentato dalla moglie abruzzese che giorno e notte frigge qualunque cosa nell’olio nero, lo stesso olio nero in cui hanno fritto e rifritto la mamma e la nonna. Tutto puzza di fritto in casa Livore, dal gatto (abruzzese) della moglie ai pulsanti dell’ascensore, tutto eccetto il computer. E così il nostro se ne sta incollato al monitor, in vestaglia, e molesta l’universo mondo, parla con Tokyo e con Hokkaido, con la Cina e con la Mongolia – ma, gli tocca ammettere, “non mi si fila nessuno”. Gli elementi ci son tutti: la crisi di mezza età, la frustrazione amorosa e familiare, ansie e rodimenti economici, l’uso compulsivo di internet e soprattutto il veleno del risentimento, che trova nell’olio nero delle rifritture abruzzesi un’immagine non meno efficace della bile nera dei fisiologi antichi, l’atrabile che governa i temperamenti melanconici e ipocondriaci.
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