Guido Vitiello

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Fessofurbomachia

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innomedelpopoloitalianoLeggo sul nuovo Todomodo, la rivista degli Amici di Leonardo Sciascia, un saggio di Euclide Lo Giudice su un tema che mi pare della massima urgenza storica, ossia il ruolo del cretino e dei suoi fratelli (lo stupido, l’imbecille, il fesso) nella vita nazionale. Nel 1982, per una strenna Giuffrè, Sciascia firmò una breve prefazione al Codice della vita italiana (1917) di Prezzolini, soffermandosi sul primo articolo: “I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi”. Il fesso di Prezzolini paga il biglietto in ferrovia e dichiara al fisco il suo vero reddito; il furbo ha per segni distintivi la pelliccia, l’automobile e le molte donne. Sciascia non poteva che apprezzare l’identificazione tra fessaggine e onestà: il buon fesso in un contesto di furbi, ricorda Lo Giudice, figura spesso nei suoi romanzi, e la frase che suggella il fallimento del professor Laurana in A ciascuno il suo è appunto: “Era un cretino”.

Qualche timida speranza Sciascia la affidava a una constatazione statistica, ossia che i fessi sono più numerosi dei furbi: “Solo che, come gli schiavi di Seneca (‘se gli schiavi si contassero…’), non si contano. E possiamo farcene idea, della schiacciante maggioranza che i fessi verrebbero a formare, solo che avessero consapevolezza del loro numero, dai tanti che quotidianamente e ovunque rimpiangono di non esser furbi”. Se ne deduce che i fessi dovrebbero acquisire la marxiana coscienza di classe, costituire qualcosa come un Fesso collettivo in grado di rovesciare il dominio oligarchico dei furbi. Impresa disperata perché, diceva ancora Prezzolini, il fesso in generale è stupido: se non lo fosse, avrebbe cacciato i furbi da un pezzo. Leggi il seguito di questo post »

La lotta di classe, da Gramsci-Togliatti a Gassman-Tognazzi

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montaggioanalogicoUno attende per anni sulla sponda del fiume, finché un giorno l’occasione arriva; l’occasione, intendo, per raccontare l’incontro più surreale della mia vita. Fu a Londra, nel 2007, durante una conferenza sui cult movies che surreale lo era già di suo. C’era, tra i relatori, una dottoranda giapponese che viveva in California e parlava un perfetto italiano. Lo aveva studiato per anni, mi confidò, con uno scopo preciso: vedere in lingua originale i film con Franco e Ciccio, che erano al centro dei suoi interessi accademici. Ai suoi occhi, ero un privilegiato; ai miei occhi, era una pazza furiosa. Ma a Londra era venuta per parlare d’altro, ossia del cinema “decamerotico”, le commedie sexy in costumi medievali come I racconti di Viterbury, Fratello homo sorella bona e Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno. Si era persuasa che quei film dei primi anni Settanta, con le loro storie di adulterio, cinture di castità scassinate e crociati cornificati, riflettessero meglio di tante opere maggiori le tribolazioni della società italiana alle prese con l’introduzione del divorzio. Dovetti riconoscerlo: la giapponese pazza aveva ragione. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

giugno 22, 2013 at 1:00 PM