Posts Tagged ‘Dante Troisi’
Sotto la toga niente (Mani bucate, 24)
L’incubo comune di ritrovarsi nudi in mezzo a persone vestite di tutto punto, su cui si sofferma Freud, trova nella vita diurna il corrispettivo più adeguato nella condizione dell’imputato di un processo penale. “In aula, l’imputato è così solo che non si stenta a riconoscerlo”, notava Dante Troisi nel Diario di un giudice. Gli occhi di tutti sono puntati su di lui, ansiosi di indovinargli in volto i segni della colpa o dell’innocenza. Se farfuglia, lo si prende per pentito; se piange, per simulatore; se ha un eloquio troppo forbito, si sospetta che abbia mandato a mente la lezioncina del difensore. Ma la sua solitudine può prendere forme più terribili. Leggi il seguito di questo post »
Metafisica del processo e oblio dell’imputato
Far pace con l’idea che siamo cugini degli scimpanzé è difficile, ma mai quanto ammettere di aver vissuto in un paese i cui destini sono stati appesi per anni a un magistrato che, alla domanda su cosa sia l’errore giudiziario, risponde così: “Io accuso lei di omicidio e il ‘morto’ è vivo. Questo è un errore giudiziario”. Definizione alquanto restrittiva, da cui si deduce che l’ultimo infortunio risale agli anni Cinquanta del secolo scorso: il caso di Salvatore Gallo, condannato all’ergastolo per aver ucciso il fratello che però – sorpresa! – era vivo e pimpante. E va bene che Di Pietro, cugino anch’egli degli scimpanzé, non ha troppa dimestichezza con i rami della scienza giuridica; ma la riluttanza a riconoscere la possibilità stessa dell’errore, se non come ipotesi di scuola, è confermata da esemplari più evoluti della specie togata. Leggi il seguito di questo post »
Giudici responsabili, per legge
Non è dalla benevolenza del fornaio che ci aspettiamo il pane, come sa ogni liberale dai tempi di Adamo Smith. Dovremmo forse attenderci giustizia dalla benevolenza del giudice? L’11 giugno scorso, incontrando i magistrati in tirocinio, Giorgio Napolitano ha pronunciato una frase su cui i quirinalisti hanno dato fondo alle sottigliezze esegetiche, già che il presidente citava una precedente esternazione: “Occorre che ogni singolo magistrato sia pienamente consapevole della portata degli effetti, talora assai rilevanti, che un suo atto può produrre anche al di là delle parti processuali”. Sagge parole, che però si potrebbero tradurre con la massima di San Filippo Neri: “State buoni se potete”. E va bene che non spettava a Napolitano dire di più, ma che molti abbiano lodato la forza del suo richiamo è il segno di un’impotenza prossima alla rassegnazione. Proviamo a tradurre anche questa in parole: siccome non vogliamo o non possiamo sciogliere i nodi della giustizia, ci rimettiamo al senso di responsabilità di ciascun magistrato, sperando che si ricordi che c’è un paese là fuori. Con il risultato che, da anni, si parla di giudici più che di giustizia: delle loro inclinazioni politiche, dei loro amori, dei poster che espongono in ufficio e perfino dei loro calzini. A che cosa porti tutto questo, lo si vede bene. Leggi il seguito di questo post »
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