Posts Tagged ‘Emmanuel Mounier’
Cimeli radicali (Mani bucate, 2)
Il cuore è una sudicia bottega di straccivendolo, diceva Yeats, e mai ce ne accorgiamo meglio di quando se ne va una persona amata. I lutti privati si addolciscono rovistando nelle credenze, negli album di fotografie, nei bauli di cose dismesse; per l’addio a un uomo pubblico ci sono invece le biblioteche, gli archivi dei giornali, le labirintiche rigatterie della rete. Ma dove frugare quando il morto non appartiene a nessuno dei due regni, conteso tra l’uno e l’altro? Ho cominciato a collezionare cimeli radicali quando Pannella era ancora vivo, e la nostra breve amicizia li ebbe spesso come pretesto: lui mi invitò a sfogliare vecchi numeri di Liberazione, il quotidiano che diresse, e in buona parte scrisse di suo pugno, tra il 1973 e il 1974; io gli portai il numero di Playboy del gennaio 1975 con le gemelle Kessler in copertina, comprato a caro prezzo su eBay in un accesso di mani bucate, dove c’era una sua lunga intervista con tre bellissime fotografie (“ammazza quanto eri fico da giovane”, gli disse il gestore del Lucano in via di Torre Argentina, e avrebbe voluto appendersi quella pagina nella trattoria). Sognavo di chiedergli un manifesto del referendum Tortora, introvabile in rete, ma me ne mancò il coraggio o l’insolenza. Ora l’intervista a Playboy si può leggere in un libro curato da Lanfranco Palazzolo per Kaos Edizioni (La rosa nel pugno. Interviste e interventi, 1959-2015) accanto ad altre memorabili, tra cui una su brigatismo, millenarismo e comunismo al cui paragone sbiadiscono le pagine della Rossanda sull’“album di famiglia”. Leggi il seguito di questo post »
Pensare con le mani, ma senza guantoni da boxe
In generale, direbbe la buonanima di Catalano, meglio aver ragione che aver torto. In subordine, meglio aver ragione con Aron che torto con Sartre. Anche perché lo slogan inverso, così caro ai contestatori, aveva appunto quel tono pubblicitario, invasato e sottilmente ricattatorio tipico degli editti di Sartre (“Ogni anticomunista è un cane!”). Storie vecchie, passate in giudicato. Ma ecco, al di là delle ragioni e dei torti, il vantaggio di Aron era in quell’elemento di salutare buffoneria illuministica che lo faceva sentire parte in commedia, o meglio nella “caricatura della commedia rivoluzionaria” che era stato il maggio parigino, dove ciascuno si era scelto la sua maschera: “Io ho recitato la parte di Tocqueville, cosa certo un po’ ridicola, ma altri hanno impersonato Saint-Just, Robespierre o Lenin, il che a conti fatti era ancor più ridicolo”. L’engagement senza un po’ di senso del teatro – comico o tragico – traligna in fanatismo e in fessaggine.
A questo pensavo, e all’ormai ventennale psicodramma italiano, leggendo l’ultimo MicroMega dedicato agli intellettuali e l’impegno. In copertina l’immagine di Sartre è sovrastata da quella di Camus, che giganteggia. E certo è meglio aver ragione con Camus che torto con Sartre, già che l’autore di Caligola aveva anch’egli un senso assai teatrale della scena pubblica. In una conferenza tenuta ad Atene nel 1955, Sur l’avenir de la tragédie, Camus distingueva la tragedia, scontro di due forze entrambe legittime, dal melodramma, dove la legittimità spetta a una parte sola: “La formula del melodramma potrebbe essere, in sintesi: ‘Questo solo è giusto e giustificabile’, e la formula tragica per eccellenza: ‘Tutti sono giustificabili, nessuno è giusto’. Per questo il coro delle tragedie antiche dà sempre consigli di prudenza. Perché sa che entro certi limiti tutti hanno ragione, e chi per accecamento o passione ignora questi limiti corre alla catastrofe per far trionfare un diritto che crede di essere il solo a detenere”. Leggi il seguito di questo post »
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