Posts Tagged ‘traduzione’
Come diventai paranoico
Mai guardare troppo da vicino certe traduzioni. Come le dive sul viale del tramonto, non reggono il primissimo piano. E non parlo solo della narrativa, beninteso, o della poesia, che è quasi impossibile tradurre senza scontentare qualcuno (in primis il poeta, se è vivo e occhiuto). Anche saggi importanti, pubblicati da grandi editori in rinomate traduzioni, sono disseminati di tranelli e infarciti di castronerie, e circolano da decenni in versioni approssimative quando non apertamente fuorvianti.
Anni fa, mentre studiavo la Anatomia della critica di Northrop Frye per il mio libro sul romanzo poliziesco, mi accorsi, per esempio, che c’era poco da fidarsi dell’edizione Einaudi. Tanto per dirne una, lo Stato di polizia (police state) diventava, regolarmente, la polizia di Stato. Non una piccola svista, già che in quelle pagine si ragionava di giallo, crimine e potere. Così dovetti ritradurre per conto mio i passi che mi interessavano, scoprendo molti altri insidiosi strafalcioni. E imparai a non fidarmi più.
Oggi pomeriggio, la storia si ripete con La banalità del male di Hannah Arendt, nella canonica edizione Feltrinelli. Quando la Arendt descrive la testimonianza di Yehiel De-Nur – forse la più spettacolare dell’intero processo, perché culminò con un collasso e uno svenimento – nell’edizione italiana si legge che, incalzato dal procuratore Hausner, il testimone “deluso e probabilmente offeso, perse la sua foga e non rispose ad alcuna domanda”. Ma nell’originale è scritto che De-Nur, probably deeply wounded, fainted. La traduzione italiana, in breve, trasforma un traumatizzato in un permaloso, che ammutolisce perché gli rubano la scena.
Tutto questo per ringraziare i due augusti genitori che, costringendo un ragazzino riottoso a studiare le lingue, gli diedero il bandolo per uscire da questi ed altri labirinti.
Filologia Alleniana/2. Traduzioni fedeli per coppie infedeli
La maledizione di Babele, la confusione delle lingue, si è abbattuta su tutti gli usi della parola, ma si è accanita con più ferocia su alcuni: tra questi, forse nessuno ne è uscito malconcio come il motto di spirito. Per un umorista, constatare che le proprie battute sono intraducibili equivale a scoprire su di sé i segni certi della cacciata dall’Eden; ma quando un Witz si lascia traghettare con agio da una lingua all’altra, ecco che spira per qualche istante miracoloso l’euforia pentecostale di chi crede di aver riacciuffato la lingua parlata da Adamo prima della Caduta.
Nelle mie vesti di fondatore di una disciplina orgogliosamente inutile, la Filologia Alleniana, mi preme illustrarvi un caso di lingua adamitica parzialmente recuperata che compare in una delle opere maggiori del Maestro, Io e Annie (Annie Hall, 1977). Si tratta di un dialogo domestico tra Alvy (Woody Allen) e Annie (Diane Keaton) dopo che questa è rincasata dalla sua prima seduta di psicoanalisi:
Annie: Well, she said that I should probably come five times a week. And you know something? I don’t think I mind analysis at all. The only question is, ‘Will it change my wife?’
Alvy: Will it change your wife?
Annie: Will it change my life?
Alvy: Yeah, but you said, ‘Will it change my wife?’
Annie: No I didn’t. I said, ‘Will it change my life, Alvy?’
Alvy: (to audience) She said, ‘Will it change my wife?’ You heard that, because you were there. So I’m not crazy. Leggi il seguito di questo post »
Appunti per un’Orestiade Alleniana
Appena ho saputo che Oreste Lionello se n’era andato, confesso, la mia mente è corsa alla fatale domanda, che mi era già balenata decine di volte quand’era ancora in vita: chi doppierà, d’ora in poi, Woody Allen? Chi non ha pensato lo stesso, scagli la prima pietra.
A tal punto mi sono affezionato al doppiaggio di Lionello che nelle mie maratone alleniane mi piace tuttora alternare le versioni originali a quelle italiane. E compararle; perché sono vistosamente diverse, come dimostra un semplice esercizio di collazione. Non si tratta, badate, di discrepanze banali dovute all’esigenza di volgere nella nostra lingua battute intraducibili o frasi idiomatiche: c’è molto di più, e di più interessante.
Invoco pertanto da questa tribuna la fondazione di una cattedra di Filologia Alleniana, che sappia sviscerare la questione come merita; e nel frattempo, nel mio piccolo, faccio quel che posso – cioè, nientemeno, porre le basi della erigenda disciplina. Le divergenze, mi pare, si possono raggruppare in tre grandi famiglie. Leggi il seguito di questo post »
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