Turpitudini: Roberta De Monticelli e il pool “anime pulite”
La custodia della propria anima – hanno ragione i Vangeli – è impresa più snervante delle pulizie di casa: tu fai una fatica ingrata per cacciar via a colpi di ramazza uno spirito immondo, ti distrai un attimo e quello si ripresenta mezz’ora dopo con sette altri demoni a imbrattarti i muri e gettare cicche per terra. Ma quanto si deve alloggiare bene, nell’anima linda di una filosofa morale studiosa di Agostino e di Platone! Parquet rilucenti dove si cammina con le pattine, niente televisori o altre diavolerie moderne, terrazzino con vista sul Mondo delle Idee, mensole dove stanno poggiate come anfore antiche le più sublimi maiuscole – la Virtù, la Giustizia, il Bene, il Bello – da spolverare di tanto in tanto con un piumino. Certo, c’è il problema degli inquilini del piano di sotto, che fanno un baccano infernale. Ma alla filosofa non è consentito tapparsi le orecchie: suo dovere è scendere in soccorso di quella gente grossa e triviale, perché – per dirla in parole semplici – “la fenomenologia ci chiede la massima fedeltà non solo al dato, ma alla sua essenza intuitiva, al suo eidos: e per coglierne la peculiare qualità assiologica negativa, il peculiare disvalore – non c’è verso – bisogna soffrire fino in fondo”. Ha sofferto tanto, Roberta De Monticelli, per scrivere, dopo La questione morale, La questione civile (Raffaello Cortina), per compilare la sua Antologia della Turpitudine (sic) e avviarci agli “esercizi spirituali del disgusto”.
Si è dovuta sorbire da cima a fondo l’intervista a Terry De Nicolò, la escort neodarwiniana, quella per cui le racchie devono starsene a casa e gli uomini di successo passare sopra i cadaveri, e ne è riemersa con un consiglio edificante: “con i risparmi della vita precedente, si procuri una stanza (?) e i dieci libri della Repubblica, e cominci a studiarli”. Della poverina non fa neppure il nome, “per non aggiungere male al male”, e perché dai superattici platonici si può scendere fino a un certo punto: come a suo tempo Veltroni, la filosofa non si abbassa mai a scrivere le quattro turpi sillabe Ber-lu-sco-ni, anche se nel libro non fa che parlare di lui.
Centocinquantasei pagine, tutte composte sul canovaccio della canzone All’Italia di Leopardi: si prende una cosa antica e nobile, la si compara (sospirando) a un’altra moderna e ignobile, s’invitano i concittadini alla riscossa morale. Sarebbe fin troppo facile cadere nel tranello e tessere controelogi della spazzatura, ma son vezzi venuti a noia. Il fatto, professoressa, è che noi amiamo le cose nobili almeno quanto lei, e proprio per questo la nostra anima delicata soffre a ogni sua pagina. O patria mia, non ci sono più i moralisti di una volta. Ai nostri padri toccò la fortuna di essere guardati con sussiego da uomini come Elémire Zolla, che apriva la sua magnifica antologia dei moralisti moderni, nel 1959, proprio con un elogio del disprezzo.
Ma per guardare dall’alto bisogna prima di tutto starci, in alto. Qualcuno dovrebbe dirle, allora, che citare nella stessa pagina Socrate e Travaglio è cosa turpe e degradante. Che le sue meditazioni sull’anima e su Hillman sanno tanto di Gabriele La Porta, e neppure quello vero, quello rifatto da Guzzanti. Qualcuno dovrebbe spiegarle quanto è scolastica e gessosa la sua idea di cultura, quanto è angusto il suo bignami di citazioni da liceo classico. Farle percepire la sublime comicità di frasi come questa: “le raffiche di villette a schiera dei geometri deturpano le colline senesi dipinte da Simone Martini e cantate da Mario Luzi”, che è una pacchianeria da “Maestri del Colore” Fabbri, superata solo dalla pagina in cui chiama l’italiano “la nostra lingua di fuoco e di grazia, la lingua di Dante e di Luzi (e due), di Galileo e di Beccaria”, frase che sembra tolta di bocca alla damina foscoliana di una satira di Gadda. Non ci stiamo a farci giudicare da moralisti midcult, solo da Adorno in su. Prima di mettersi alla testa di un pool “anime pulite”, è saggio far bene le pulizie in casa propria.
Articolo uscito sul Foglio il 9 dicembre 2011 con il titolo Moralista pacchiana
Commovente. Non c’era modo migliore di dirlo, e andava assolutamente detto.
Myo Dyo
dicembre 12, 2011 at 10:06 am
musica per le mie orecchie questo pezzo su “Coscienza” De Monticelli
fabio
gennaio 6, 2012 at 10:48 PM
concordo pienamente. grazie perché sai cosa dire e come dirlo.
carolaina del sud
gennaio 12, 2012 at 12:47 PM
Guido Vitiello? Spero che non abbia niente a che vedere con il filosofo Vincenzo Vitiello, e che si tratti di mera omonimia. Non mescoliamo, per favore, il grano con il loglio (cioè il basso Guido con l’alto Vincenzo).
Alla prof, De Monticelli vorrei solo dire; non ti curar di lui (Guido), ma guarda e passa…
Un cordiale saluto da
Fulvio Sguerso
Fulvio Sguerso
novembre 25, 2012 at 6:56 PM
Mera omonimia, può dormire sonni tranquilli.
unpopperuno
novembre 25, 2012 at 7:04 PM
Grazie, altrettanto!
F. S.
Fulvio Sguerso
novembre 25, 2012 at 7:09 PM