Posts Tagged ‘Platone’
Ci sono anche ladri platonici (Mani bucate, 15)
Un buon metodo per torcere il collo all’eloquenza è coltivare l’abitudine dispettosa di rispondere alle domande retoriche, come fanno saggiamente i bambini. Questa di Balzac, per esempio, non merita davvero di farla franca: “Dove troverete, nell’oceano della letteratura, un libro che emerga e possa competere in genialità con questo trafiletto: ‘Ieri alle quattro una giovane donna si è buttata nella Senna dall’alto del Ponte delle Arti’?”.
Dove? Ma a casa mia, che domande! – ecco la mia risposta non retorica. Perché questo libro io l’ho trovato, e l’ho ripescato come un relitto dal fondo dell’oceano della letteratura di seconda mano. Si chiama Strangolata con un portacenere, pubblicato da Bompiani nel 1974. Era una raccolta-collage di titoli che Teresa Cremisi ritagliò dai quotidiani italiani per quattro anni, tra il 1 gennaio del 1970 e il 31 dicembre del 1973. Non la solita galleria di refusi comici, di doppi sensi involontari, di lanci d’agenzia surreali: la Cremisi si era accorta che alcuni titoli, separati dai rispettivi articoli come teste spiccate dai corpi, si illuminavano per effetto di un’imprevedibile anamorfosi letteraria o metafisica. Leggi il seguito di questo post »
Mani Pulite al Liceo
Quando arrestarono Mario Chiesa avevo appena sedici anni. Del finimondo che mi accadeva attorno capivo ben poco, e registravo solo le informazioni che avessero qualche attinenza con la mia vita di studente di un liceo classico romano, per di più di un liceo storicamente “disimpegnato”. Dunque inezie, dettagli, nugae di poco conto. Non ero ancora hegeliano a sufficienza per riconoscere, nelle fotografie di Borrelli a cavallo che comparivano sui rotocalchi, l’immagine dello Spirito del mondo (Hegel era programma del terzo anno). Eppure, a richiamare oggi i ricordi di quella stagione, devo constatare che il mio fiuto di adolescente mi aveva portato a selezionare l’essenziale, a comporre un vademecum che ancora oggi mi è d’aiuto. Ricordo per esempio di quando vidi il faccione di marmo di Platone, lo stesso che campeggiava sul mio manuale di filosofia, sulla copertina di un volumetto dal titolo Mani pulite. Dentro c’erano l’Apologia di Socrate e il Critone, e il settimanale Epoca lo allegava al numero in edicola: prima, però, aveva avuto l’accortezza di distribuirlo a tutti i parlamentari del parlamento dei corrotti. Non potevo sospettare che in quella copertina ci fossero in nuce tutte le festivaliere filosofe della turpitudine, ma intuii che qualcuno, in Italia, avrebbe presto dovuto bere la cicuta. Leggi il seguito di questo post »
Turpitudini: Roberta De Monticelli e il pool “anime pulite”
La custodia della propria anima – hanno ragione i Vangeli – è impresa più snervante delle pulizie di casa: tu fai una fatica ingrata per cacciar via a colpi di ramazza uno spirito immondo, ti distrai un attimo e quello si ripresenta mezz’ora dopo con sette altri demoni a imbrattarti i muri e gettare cicche per terra. Ma quanto si deve alloggiare bene, nell’anima linda di una filosofa morale studiosa di Agostino e di Platone! Parquet rilucenti dove si cammina con le pattine, niente televisori o altre diavolerie moderne, terrazzino con vista sul Mondo delle Idee, mensole dove stanno poggiate come anfore antiche le più sublimi maiuscole – la Virtù, la Giustizia, il Bene, il Bello – da spolverare di tanto in tanto con un piumino. Certo, c’è il problema degli inquilini del piano di sotto, che fanno un baccano infernale. Ma alla filosofa non è consentito tapparsi le orecchie: suo dovere è scendere in soccorso di quella gente grossa e triviale, perché – per dirla in parole semplici – “la fenomenologia ci chiede la massima fedeltà non solo al dato, ma alla sua essenza intuitiva, al suo eidos: e per coglierne la peculiare qualità assiologica negativa, il peculiare disvalore – non c’è verso – bisogna soffrire fino in fondo”. Ha sofferto tanto, Roberta De Monticelli, per scrivere, dopo La questione morale, La questione civile (Raffaello Cortina), per compilare la sua Antologia della Turpitudine (sic) e avviarci agli “esercizi spirituali del disgusto”.
Nell’incontro di wrestling tra teofili e teofobi fate arbitrare Girard
Sono tempi magri, per il dialogo tra credenti e non credenti. Certo, non a tutte le generazioni tocca in sorte di veder battagliare, come nei primi secoli cristiani, Origene contro Celso o Giustino contro Crescente. Di Feuerbach o di Nietzsche ne nasce – è il caso di dirlo – uno ogni morte di papa, e sull’altro fronte non è che la mamma dei Kierkegaard sia sempre incinta. Ormai il grande duello pubblico sulle cose ultime ricorda quel vecchio sketch dei Monty Python in cui un monsignore e un filosofo si disputano l’esistenza di Dio in un incontro di wrestling. E così (salvo eccezioni) si dividono il ring certi energumeni dell’apologetica che brandiscono come una clava l’ideale ottocentesco di una cristianità alla Chateaubriand e degli atei da baraccone, indistinguibili dai telepredicatori, che illustrano – magari con l’ausilio di un Power Point – i cinque semplici motivi per cui la religione è una truffa. Spesso poi, dopo l’11 settembre, la materia del contendere è il nesso tra religione e violenza: i primi ti dicono che, accantonando Dio, gli uomini finiscono per scannarsi a vicenda; i secondi ribattono che è proprio Dio l’istigatore a delinquere che insinua nelle anime semplici il germe della violenza, e vagheggiano un paganesimo tollerante o una fraternità umana affrancata dal Grande Barbuto. Leggi il seguito di questo post »
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