Posts Tagged ‘Giorgio Bocca’
Come i garantisti divennero pelosi
“E oggi pelo vi vuol, pelo e non pelle, per far fortuna e innamorar le belle” si legge negli Animali parlanti di Giambattista Casti, poema satirico del primo ottocento. Gadda attribuiva il successo di Ugo Foscolo con le donne all’“irsuto petto” e ai basettoni, e ancora ai tempi di Sean Connery, di Burt Reynolds e di altri divi moquettati la regola conservava un suo valore. Ma in quest’epoca di polli spennati e di riti cruenti come la fotodepilazione laser la villosità pare caduta in disgrazia, e ormai riguarda solo il fenotipo di una sottospecie umana a rischio di estinzione: i garantisti. Non se ne può più. Alla fine anche Rodotà ha ceduto al pigro riflesso condizionato di associare quel sostantivo, garantismo, a quell’aggettivo, peloso. Per l’esattezza ha detto che Renzi è un garantista peloso da prima repubblica, che oltretutto è una ricostruzione darwinianamente inesatta. Quand’è che i garantisti si trasformarono in wookie, le enormi pelosissime creature di Guerre stellari? Alcuni fanno risalire la formula a Massimo D’Alema, che prese a usarla a metà degli anni Novanta e che nel 1997, ai tempi della Bicamerale, annunciò la necessità di “opporre al garantismo peloso della destra un garantismo diverso”, che si supponeva glabro. Ma l’espressione è più antica, e ha una data di nascita precisa: 21 marzo 1993, equinozio di primavera, quando Giorgio Bocca sull’Espresso la usò contro Alfredo Biondi. Di lì a poco Bocca ripeté l’accusa, e poi ancora, finché Biondi s’incazzò, lo querelò e a un certo punto gli tirò pure una risposta memorabile: “Che io sia peloso l’avrà saputo da sua sorella”. Cominciava così ad alimentarsi l’equivoco sui sensi letterali o figurati della pelosità. La formula diventò un ritornello negli articoli di Bocca di quei mesi, che letti oggi ricordano il pavimento di un barbiere, e il giornalista s’inventò anche la fattispecie del garantismo “peloso e doloso”. Facciamo caso alle date, però: il 21 marzo 1993 cade esattamente tra la bocciatura del decreto Conso e il referendum per il maggioritario. La villosità dei garantisti è dunque un prodotto della seconda repubblica, non della prima come vuole Rodotà. Leggi il seguito di questo post »
Arrivano i titani. “1992”, MicroMega e il peplum di Mani Pulite
A Parigi, nei primi anni Novanta, Enrico Vanzina s’imbatté in un libro della classicista francese Florence Dupont, La vie quotidienne du citoyen romain sous la république, lo lesse e pensò: quasi quasi propongo a mio fratello Carlo di fare un peplum, un film in costume antico romano, sull’Italia di Tangentopoli. Nasce così il cinepanettone del Natale 1994, S.P.Q.R. – 2000 ½ anni fa, a tutt’oggi il tentativo più ambizioso – anzi, semplicemente l’unico, mentre il cinema cosiddetto civile temporeggiava – di raccontare in un solo film la fine della Prima Repubblica, le inchieste sulla corruzione, lo scontro tra magistratura e politica, la nascente mitologia del giudice combattente, il rapporto schizofrenico dell’italiano comune con la legge e la giustizia, l’irruzione scomposta delle leghe e dei qualunquismi. Non so quale libro stesse leggendo Stefano Accorsi quando gli è venuta in mente l’idea di 1992, la fiction su Mani Pulite che andrà in onda in primavera su Sky Atlantic, e che era prevista per l’autunno, e io, mannaggia, avevo già preparato i popcorn; ma a giudicare dalle foto di scena circolate finora si direbbe che ha visto se non altro moltissime copertine di MicroMega, specie quella più famosa dove il trio Di Pietro Davigo Colombo è trasfigurato in icona warholiana. Leggi il seguito di questo post »
La cultura italiana e la Shoah
Quando uno studioso italiano dice di occuparsi di Holocaust Studies, può capitare che i colleghi lo guardino perplessi, quasi fossero in presenza di un monomaniaco che ronza attorno alla sua idée fixe. Cercheranno per prima cosa di capire se è ebreo o meno, e appurato che non è ebreo gli domanderanno: “E come mai ti sei scelto un argomento così specifico?”. Negli Stati Uniti lo guarderanno altrettanto perplessi, ma per la ragione speculare: “Un argomento così generico? E di che cosa ti occupi, in particolare?”. È grazie al benemerito iperspecialismo degli Holocaust Studies anglosassoni se oggi possiamo leggere il volume di Robert S.C. Gordon, The Holocaust in Italian Culture – 1944-2010 (Stanford University Press). Che esordisce lamentando, innanzitutto, che in Italia si sia scritto e si scriva così poco sul tema.
Il libro di Gordon, professore a Cambridge, ha il pregio – così raro, sotto i nostri cieli – di abbracciare una concezione inclusiva e non schizzinosa di cultura, che passa senza imbarazzi da Primo Levi a Francesco Guccini, da Salvatore Quasimodo a Roberto Benigni, dal Museo della Shoah – un case study che è ormai una tela di Penelope – ai film erotici ispirati al Portiere di notte di Liliana Cavani. Ma non è questa l’unica ragione per cui in Italia un libro come il suo non lo ha scritto (né forse lo scriverebbe) nessuno. Leggi il seguito di questo post »
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