Guido Vitiello

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“Non giudicate”. Presentazione alla Festa dell’Unità

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Giustizia babilonese

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TortoraRaffrontare un antico testo babilonese sul sacrificio di un toro e un rapporto di polizia giudiziaria redatto dai carabinieri di Napoli nei primi anni Ottanta è un esercizio da lunatici o da sfaccendati, ma aiuta a riscuotersi dal cattivo sogno dell’attualità. Condotto in un antro segreto, l’animale era asperso d’acqua e purificato col fuoco; al culmine di un intricato cerimoniale veniva ucciso, il suo cuore bruciato. Il sacerdote si inchinava allora davanti al cranio ed esclamava: “Questo atto l’hanno compiuto tutti gli dèi, non l’ho compiuto io”. Leggiamo ora quel vecchio verbale dei carabinieri: “Si vuole che sia dedito allo spaccio delle sostanze stupefacenti nell’ambiente artistico da lui frequentato”. La persona in questione è Enzo Tortora. Il veleno non è in cauda ma in capite, in quel sibillino “si vuole”, e tra le mille coincidenze che rendono perturbante il caso Tortora c’è anche il ritorno di quel Leitmotiv. Fu il 20 aprile 1988, nel programma Il testimone di Giuliano Ferrara. Tra gli ospiti c’era Armando Olivares, il pm che aveva sostenuto l’accusa nel processo d’appello. Incalzato dal conduttore perché illustrasse gli elementi in base ai quali un innocente era stato condotto al macello come un toro babilonese, Olivares dapprima ebbe premura di ricordare che nessun atto giudiziario è mosso mai da ragioni personali; poi, nel suo italiano piccolo-burocratico innestato su un fondo dialettale, inaugurò così la sua ricostruzione delle indagini: “Si vuole questo”. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

marzo 18, 2013 at 2:20 PM

L’Affaire Vietti: messaggi in codice dalla prigione del Csm

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Ci sono riflessi pavloviani che bisogna tenersi cari. Quando Paolo Flores d’Arcais definì l’elezione di Michele Vietti al Csm un inciucio che “supera in gravità perfino le nefandezze della bicamerale”, invitando al Pd a cambiar nome in PdV o Partito della Vergogna, era la prova che il neoeletto qualcosa di buono doveva pur averlo, in fondo al cuore. Magari qualche genuino sentimento garantista imbozzolato nelle vesti del mediatore arci-democristiano e destinato a starsene ancor più acquattato in quelle del vicepresidente. Fantasie? Certo è che letto in questa chiave La fatica dei giusti è quasi accattivante. Tutto sta a usare il metodo che Sciascia adottò nell’Affaire Moro, far caso agli incisi, alle allusioni, alle impalpabili scelte di stile. D’accordo, Vietti non è in una prigione del popolo, ma quando sei vicepresidente del Csm e le tue pagine sono strette tra una prefazione del Primo presidente della Cassazione e una postfazione del Procuratore generale nonché elogiate in quarta di copertina dal presidente dell’Anm, non è che puoi proprio parlare a ruota libera. E infatti, manco a dirlo, nel libro risuonano tutti i mantra dei bonzi della corporazione. Ma tra le righe di un repertorio ormai venuto a noia il metodo Sciascia dà i suoi frutti: a volte basta una litote cortese o un avverbio lasciato cadere al posto giusto per convincerci che Vietti non può dirlo ma la pensa pressapoco come noi. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

novembre 24, 2011 at 10:24 am