Posts Tagged ‘Mauro Mellini’
Angeli neri, giudici e pentiti. Sciascia lettore di Belli
Il sorriso di Doina Matei e il digrignar di denti della strega sottoposta ai supplizi, in cui gli inquisitori vedevano una smorfia ilare, un farsi beffe dei giudici, e dunque un segno certo di possessione diabolica (“Io stringo i denti e poi diranno che rido”, aveva protestato cinque secoli fa Franchetta Borelli, una delle streghe di Triora, messa al tormento del cavalletto). Il contegno algido e schivo di Raffaele Sollecito e il maleficio della taciturnitas, che consentiva all’eretico di resistere cocciutamente all’incalzare dell’interrogante. Il ciglio asciutto di Amanda Knox e l’incapacità di versare lacrime perfino in mezzo alle torture, assunta come prova del servizio a Satana, secondo il Malleus maleficarum. Leggi il seguito di questo post »
Mecenate per un giorno
Perfino in questi grigi tempi democratici capita, a noi megalomani, di sentirci per un giorno come all’epoca dei Medici o dei Gonzaga, quando il signore poteva radunare a corte i migliori musicisti d’Europa, commissionar loro mottetti e madrigali e farli eseguire per il proprio diletto. L’anno scorso, in un impeto di mecenatismo rinascimentale, ho detto al giovane giurista Andrea Apollonio: ci vorrebbe un bel libro a più voci sulla giustizia italiana nell’ultimo ventennio, che faccia capire cosa è accaduto al processo; ma io, che in materia sto a metà tra il loggionista e lo strimpellatore, non saprei neppure da dove cominciare, perché non lo fai tu? Lo sventurato mi ha preso in parola, e il madrigale polifonico è pronto: si chiama Processo e legge penale nella Seconda repubblica, e lo ha pubblicato Carocci il 30 aprile. Sapeste che Camerata de’ Bardi mi ha portato a corte! Esordisce il maestro Giovanni Fiandaca, che gorgheggia sui populismi giudiziari di destra e di sinistra, sugli intellettuali ridotti a tifosi, sulla strana piega che sta prendendo l’ideologia professionale dei magistrati. E non è che l’introduzione.
Ultimo treno per la giustizia
Va a finire – non sarebbe la prima volta – che il più savio di tutti è un vecchio matto con gli occhi spiritati da sciamano e la coda di cavallo. Marco Pannella sta offrendo, con i referendum, il biglietto per l’ultimo treno. Non certo l’ultimo treno per Berlusconi, che non ha più neppure il passaporto, e il cui potente salvacondotto si è rivelato fantomatico più dell’arma segreta di Hitler. No, il fischio del capostazione annuncia l’ultimo treno per la riforma della giustizia, il solo salvacondotto che conti per l’Italia, il “grande veicolo” su cui salire tutti. L’ultimo, si badi: non ci saranno a breve altre partenze, e a quel punto toccherà farsela a piedi, e ci vorranno anni o decenni. Non si annuncia come un viaggio comodo: la destinazione è incerta, le rotaie dissestate, il percorso disseminato di strettoie, ponti scricchiolanti e carcasse lasciate a marcire sui binari. Ma è la sola via possibile, o almeno la più realistica. Perché se è vero, come ha scritto Angelo Panebianco, che un potere forte e unito (la magistratura) non si lascerà mai riformare da un potere debole e diviso (la politica), ne consegue che l’unica flebo per iniettare in tempi brevi vigore e legittimità al potere cagionevole è un mandato popolare inequivocabile. Leggi il seguito di questo post »
Consigli da una regina alla Boldrini in tema di porno-fotomontaggi
La storia non è magistra di niente che ci riguardi, ma questo non le impedisce di molestarci sotto forma di déjà-vu. Roma, primavera del 2013: Giovanna Pirrotta, la giovane assistente di Laura Boldrini, depone sulla scrivania della Presidente della Camera le stampe di alcuni fotomontaggi; in uno di essi il suo volto sorridente è innestato sul corpo di una donna violentata da un nero. Roma, primi di febbraio del 1862: giunge a Pio IX, da un ignoto mittente, un misterioso plico, che viene recapitato anche all’imperatore Napoleone III, a Vittorio Emanuele, alla corte di Vienna e a quella di Monaco di Baviera. Contiene anch’esso dei fotomontaggi osceni: la testa è quella di Maria Sofia di Wittelsbach, ultima regina consorte del Regno delle Due Sicilie, sorella minore di Sissi, esule a Roma con il marito Franceschiello. E il corpo? Be’, quella è una storia lunga. Ma sentiamo come i pruriginosi prelati del Sacro Tribunale descrivono le fotografie. Una di esse “rappresentava la Regina ignuda al bagno in una bagnarola rotonda, sulla quale galleggiavano membri umani di tutte le proporzioni quali ella andava accarezzando”; in un’altra “si vedeva ignuda, lunga sopra un sofà, avendo sopra in atto di coito uno zuavo in modo da non vedersi il volto”. Un’altra ancora “rappresentava la regina sempre tutta ignuda in un sofà mezza addormentata, e Sua Santità che sta per entrare nella porta che vedesi traschiusa, ed il Generale francese in distanza vestito però alla borghese che segue Sua Santità”. Sono cinque, in tutto, le composizioni pornografico-allegoriche che innescano il primo grande scandalo del fotomontaggio satirico. Leggi il seguito di questo post »
Triglia della Vucciria. Sul linguaggio di Ingroia
Ogni volta che Ingroia apre bocca, ripenso ai versi di Montale: “Le tue parole iridavano come le scaglie / della triglia moribonda”. Sissignori, un bel triglione che dibatte la coda sui banchi della Vucciria, e che sguscia via di mano a chiunque tenti di acciuffarlo. Sarà per questa qualità iridescente del suo discorso, per questo mobile e indefinito scintillìo, che mi riesce così difficile riscuotermi dall’incantesimo e staccargli gli occhi (e le orecchie) di dosso. Ancora più difficile è raccapezzarsi in quel che dice, e soprattutto in quel che non dice. L’ars retorica di Ingroia, infatti, è tutta compresa tra le figure della preterizione e della reticenza, o se si vuole tra il Figaro mozartiano (“Il resto nol dico, già ognuno lo sa”) e il Peppino De Filippo della Malafemmena (“E ho detto tutto”). La mascariatura della Boccassini, condotta con la complicità riluttante di un morto (“Mi basta sapere cosa pensava di me Borsellino e cosa pensava di lei. Ogni parola in più sarebbe di troppo”), ne è un caso di scuola. Non è una caduta di stile: è l’essenza stessa del suo stile. Leggi il seguito di questo post »
Antropologia dell’antimafia. La primavera di Ingroia
Se il comunismo, come voleva Lenin, è il potere dei soviet più l’elettrificazione, si potrebbe dire che per alcuni la lotta alla mafia è il potere delle procure più l’elettrificazione. Due sono infatti le categorie che adottano quotidianamente l’espressione “caduta di tensione” come parte del loro gergo professionale: gli ingegneri elettrici e i magistrati siciliani. Escludendo che al centro dei loro crucci sia l’insufficiente fornitura energetica degli uffici giudiziari, la luce che salta o le fotocopiatrici che si spengono di colpo, a quale tipo di elettricità alludono? Non sempre è chiaro, e la stessa formula può indicare cose diverse a seconda di chi la pronuncia. Lamentando un calo di tensione nella lotta alla mafia, per esempio, Falcone e Borsellino si riferivano spesso al grado di collaborazione delle istituzioni politiche, all’organizzazione e al coordinamento dell’attività delle procure, al rischio di adagiarsi sui successi ottenuti, tutt’al più a uno stato d’animo generale di scoramento. Quando a usare la stessa espressione sono Giancarlo Caselli, Roberto Scarpinato o Antonio Ingroia c’è un sottile ma decisivo slittamento semantico, e il senso è più vicino a quello che intendeva Eugenio Scalfari quando, nell’agosto del 1988, rimproverava Leonardo Sciascia per aver attaccato, con il suo articolo sui professionisti dell’antimafia, le “strutture che cercavano di mantenere alta la tensione pubblica contro la mafia”; dunque, essenzialmente, il Coordinamento Antimafia palermitano – un comitato di salute pubblica stupido e fanatico, agli occhi di Sciascia – e l’esasperato presenzialismo del sindaco Leoluca Orlando al suo primo mandato. Leggi il seguito di questo post »
Come i magistrati divennero un partito
Ci sono parole galeotte, condannate a trascinarsi dietro, come una palla al piede, il peso di un aggettivo infamante. Il liberismo è sempre «selvaggio», il garantismo «peloso»: l’ipotesi che esista un liberismo addomesticato o un garantismo glabro non è contemplata. Ma ad accomunare le due parole è anche un beffardo gioco di ombre cinesi, che le fa apparire più grandi di quanto non siano. Chi si scaglia contro la testa di turco del «pensiero unico neoliberale» dovrebbe farsi un giro in libreria: vedrà che la letteratura liberale è affare, per lo più, di piccoli editori battaglieri quanto invisibili, mentre sul bancone troneggiano i bestseller contro la dittatura del pensiero unico, che a quanto pare così unico non è. Lo stesso vale per il garantismo, che passa per essere, Berlusconi regnante, pensiero egemone in materia di giustizia. Le sorti dei grandi garantisti, ridotti a scrivere su fogli semiclandestini e a pubblicare con editori fantasma, provano il contrario.
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Annus Mirabilis. Il Guvi Book Award 2009
Caspita, che annata d’oro! Per una volta, sono soddisfatto delle mie letture. E con gran pena sono riuscito a distillare due Top 15 (Narrativa e Saggistica), una Top 10 “di settore” (Extravaganzas) nonché una Caienna dove scontano la loro condanna i tre libri più insulsi letti nel 2009. L’esortazione d’inizio anno, che rivolgo per primo a me stesso, è ancora una volta questa: non farti dettare le scelte di lettura dai calendari degli editori e degli uffici stampa, dal ricatto dell’attualità, dal regno dell’adulazione universale (il cui rovescio è il combattimento dei galli) che domina il cosiddetto giornalismo culturale, dalla pressione di compagnie e circoletti, spesso amabili, che fanno leva sul senso di vergogna. “Ma come, non hai letto Tal de’ Tali?”. Ebbene no, non l’ho letto, non lo leggerò mai: la vita è troppo breve. Siate crivellati di lacune, con lo stesso orgoglio che il nobile Gruviera ostenta nel vostro frigorifero. Leggete i classici, e seguite le vostre ossessioni ovunque vi portino. Tutto il resto è enciclopedismo, snobismo, accademia, fighettismo letterario, o soggezione alla “fama”: che è poco meno che vento.
Se non vi fidate di me, fidatevi di Jonathan Swift: “Dei settemila scritti attualmente prodotti in questa rinomata città, prima che il sole abbia compiuto la prossima rivoluzione, non resterà l’eco di alcuno”. O di Joseph De Maistre: “Ma una raccomandazione mi resta da farvi, Signora, ed è che, all’epoca in cui viviamo, è più che mai necessario di stare in guardia contro la riputazione dei libri, visto che il secolo che tramonta rimarrà sempre segnato nella storia come la grande epoca della ciarlataneria in tutti i campi, e soprattutto delle fame usurpate”.
E ora, le classifiche (compilate, per pigrizia, in ordine sparso, in una notte quasi insonne: perciò non è detto che il numero sette sia meno bello del numero tre, eccetera). Leggi il seguito di questo post »
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