Posts Tagged ‘Domenico Marafioti’
Chiamata alle armi per una nuova guerriglia semiologica (Mani bucate, 37)
L’obbligo per i sudditi di abbracciare la fede del sovrano – cuius regio eius religio, pace di Augusta, 1555 – vale tuttora per certi giornali. Se non per la linea politica, quanto meno per lo stile, diciamo pure per le formule liturgiche; ed è una conversione più profonda e insidiosa. Infallibilmente, chi comincia a scrivere per il Fatto Quotidiano finisce per scrivere male, scimmiottando quella maniera pedestre da Fortebraccio del Bagaglino di cui va così fiero il direttore. Questo pensavo leggendo l’altro ieri il commento sarcastico di Silvia Truzzi al discorso di Luciano Violante a Pisa, che fin dalla prima frase accordava il suo strumento su quello del principe regnante della testata: “Più che un participio, una certezza” – omaggio ai mille corsivi di Travaglio dove Violante è chiamato “il noto participio presente” o “voce del verbo violare”. L’ultimo è proprio di ieri: “Violare, violando, Violante”. Leggi il seguito di questo post »
La Repubblica dei Procuratori (Mani bucate, 36)
Il 26 gennaio, inaugurazione dell’anno giudiziario, sembrò a qualcuno che dalle toghe bordate di ermellino irraggiasse una solennità insolitamente sinistra. Non si trattava solo di rifondare ritualmente il tempo ciclico del calendario delle udienze: stavolta si celebrava il passaggio a un nuovo eone. Claudio Petruccioli, in quel tono semiserio di ludendo docere che hanno spesso i migliori commentatori su Twitter, ne parlò come di un evento di importanza storica, di quelli che meritano una trafila di maiuscole: “È L’ANNO PRIMO DELLA REPUBBLICA GIUDIZIARIA”. Leggi il seguito di questo post »
Il processo per il processo. Un incubo giudiziario
Un corsivo di Giorgio Manganelli, scritto in margine al processo Valpreda e raccolto negli Improvvisi per macchina da scrivere, mi persuade una volta di più che l’attualità è un incubo da cui dobbiamo destarci, e che i giornali del futuro saranno lunghissimi rotoli di lanci d’agenzia, scarni e sibillini, circondati da glosse di moralisti secenteschi sul vano ripetersi di tutte le cose. Dicevo: in margine al processo Valpreda, e alle sue migrazioni tra le sedi di Roma, Milano e Catanzaro; ma accade che il margine di un processo combaci con il margine di innumerevoli altri, e che questa sia più di una metafora. Il lettore tenga a mente gli interminabili, dilatorii processi sulle stragi e sui misteri d’Italia, l’orizzonte della verità che si allontana sempre di un passo, come in un paradosso di Zenone; tenga a mente il novissimo Capaci bis che affianca e ingloba il Borsellino quater, e la strana costellazione della trattativa, che qualcuno ha paragonato a una matrioska dove il processo maggiore contiene processi minori in cui gli stessi imputati, gli stessi pentiti, gli stessi testimoni sono ascoltati sugli stessi fatti e come rimasticati in eterno; tenga a mente tutto questo e legga Manganelli: Leggi il seguito di questo post »
Ultimo treno per la giustizia
Va a finire – non sarebbe la prima volta – che il più savio di tutti è un vecchio matto con gli occhi spiritati da sciamano e la coda di cavallo. Marco Pannella sta offrendo, con i referendum, il biglietto per l’ultimo treno. Non certo l’ultimo treno per Berlusconi, che non ha più neppure il passaporto, e il cui potente salvacondotto si è rivelato fantomatico più dell’arma segreta di Hitler. No, il fischio del capostazione annuncia l’ultimo treno per la riforma della giustizia, il solo salvacondotto che conti per l’Italia, il “grande veicolo” su cui salire tutti. L’ultimo, si badi: non ci saranno a breve altre partenze, e a quel punto toccherà farsela a piedi, e ci vorranno anni o decenni. Non si annuncia come un viaggio comodo: la destinazione è incerta, le rotaie dissestate, il percorso disseminato di strettoie, ponti scricchiolanti e carcasse lasciate a marcire sui binari. Ma è la sola via possibile, o almeno la più realistica. Perché se è vero, come ha scritto Angelo Panebianco, che un potere forte e unito (la magistratura) non si lascerà mai riformare da un potere debole e diviso (la politica), ne consegue che l’unica flebo per iniettare in tempi brevi vigore e legittimità al potere cagionevole è un mandato popolare inequivocabile. Leggi il seguito di questo post »
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