Guido Vitiello

Posts Tagged ‘Alessandro Dal Lago

Requiem per un dilettante. Il potere dell’arte, l’arte del potere

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Adolf Hitler As Andy WarholAnni fa mi imbattei, non chiedetemi come, in una strana antologia tedesca che più che a un’antologia faceva pensare a un gruppo di perfetti sconosciuti intrappolati tra due copertine come in un ascensore guasto. C’erano Tito Livio, Arnold Toynbee e una malassortita compagnia di storici, umoristi, fumettisti, esperti di studi strategici, scrittori russi mai esistiti e soprattutto autori di fantascienza di mezza Europa. Era un’antologia di storia controfattuale – la storia fatta con i se: se Alessandro Magno non fosse morto giovane, se la Germania avesse vinto la Seconda guerra mondiale – e subito mi colpì un breve racconto di Sabine Wedemeyer-Schwiersch intitolato Requiem für einen Stümper, ossia Requiem per un dilettante. È l’immaginario discorso d’inaugurazione dello Adolf Hitler Museum a Stoccarda, nel 1975, e descrive un universo ipotetico nel quale Hitler non ha mai tentato l’avventura politica perché ha coronato il sogno di diventare pittore. Ammesso all’Accademia di Belle Arti di Vienna nel 1909, il giovane Hitler combatte la Grande guerra (l’esperienza del fronte segnerà la “sensibilità eroica” delle sue opere successive) e vivacchia nella bohème di Stoccarda finché non incontra il suo mecenate e benefattore, l’industriale Albert Häberle, capo della gigantesca multinazionale Häberle-Werke. Grazie a Häberle, lo stile Hitler del “periodo bruno” – fatto di ritratti di lavoratori, paesaggi romantici, scene di mitologia germanica – trionfa a Berlino, a Londra, a New York, domina il mercato artistico mondiale. Le altre correnti pittoriche sono considerate poco più che arte degenerata. Ogni casa tedesca ha il suo Hitler appeso in salotto, e l’impronta del suo gusto è così profonda che, suggerisce l’estensore del discorso, “in un certo senso, si può dire, anche noi siamo opere di Adolf Hitler”. Il grande artista muore a 85 anni, nel 1974, e Häberle istituisce un museo in suo onore. Leggi il seguito di questo post »

Diario astrale

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Pippo GalileiDa quando Kant li dichiarò “scagionati di fronte al tribunale della ragione”, non possiamo più prendercela con i pianeti. Per secoli l’allineamento di tre corpi celesti, fenomeno piuttosto raro, fu letto come un presagio di catastrofi – la peste nera, il terremoto; ma le cause di quelle sciagure, diceva il filosofo, vanno cercate “sotto i nostri piedi”. Il guaio è quando i segni terrestri sono più oscuri dei celesti. L’8 dicembre, primarie del Pd, si annuncia una triplice congiunzione politico-planetaria, mai registrata nelle effemeridi nazionali: i capi dei tre grandi schieramenti che si erano spartiti l’elettorato lo scorso febbraio si troveranno, simultaneamente, fuori dal parlamento. L’uno (Berlusconi) in quanto decaduto, l’altro (Grillo) in quanto azionatore di un giocattolo radiocomandato, l’altro ancora (Renzi) in quanto ammutinato del suo partito. Diverremo, chissà per quanto, una Repubblica a guida extraparlamentare, e ci toccherà ragionare sul grande problema di ciò che è dentro e ciò che resta fuori (e spinge per entrare, per trovare rappresentanza). Confesso di non avere, al riguardo, l’ombra di un’idea; solo due consigli di lettura un po’ visionari. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

novembre 30, 2013 at 11:30 PM

La fiera dei palloni gonfiati (e la necessità della stroncatura)

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macysDei morti non si dice che bene, e già questa dovrebbe valere come ragione insormontabile a difesa della stroncatura: la sua assenza è il segno certo di una cultura cimiteriale. L’altro corno del dilemma è se, riconosciuta ai libri la dignità di creature viventi, la stroncatura non abbia appunto il potere di ucciderli, e se questo non sia in fin dei conti un infierire sugli inermi. Che danno potrà mai fare, un libro malnato?

La questione non è nuova, e sui giornali americani si torna a parlarne. Ha cominciato a giugno, sul New York Times, il critico e poeta australiano Clive James, lamentando che la cultura letteraria statunitense fosse troppo beneducata, e che si dovesse importarvi un’oncia della rudezza del costume britannico, dove la recensione negativa è praticata come uno sport duro e leale. Ne ha ripreso il filo qualche giorno fa Lee Siegel sul New Yorker, invitando a seppellire l’ascia di guerra. La sua, più che un’esposizione di ragioni, è un’agnizione da eroe tragico: si è costruito una fama infilzando libri altrui, lo confessa in esordio, e ora che è passato all’altro fronte, diventando scrittore, la vista di quella scia di cadaveri gli causa turbamento e ribrezzo. L’atto di scrivere è una lotta che l’autore ingaggia con la propria mortalità, mettendovi tutto sé stesso, e allora perché accanirsi? Isaac Chotiner, su The New Republic, ha avuto facile gioco nel ricordargli che anche il lettore è mortale, e il critico può evitargli di perdere ore preziose dietro libri sciocchi e vani. Aggiungeremmo che la scena letteraria di ogni paese ricorda il raduno annuale degli scemi del villaggio in Amore e guerra di Woody Allen: una fiera affollata di lunatici adescatori e attaccabottoni, ciascuno persuaso di essere Napoleone o poco meno, ciascuno pronto ad acciuffarti per la manica nella certezza che la sua storia meriti giorni di vita e di attenzione. Lo stroncatore è l’amico più scaltro che ti preserva da incontri spiacevoli. Leggi il seguito di questo post »