Guido Vitiello

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What if Nietzsche…? Esercizi di fantastoria culturale

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meh.ro5451Sarà pur vero che la storia non si fa con i se, ma con i se la si può disfare a piacimento, e riportare al condizionale tutti i suoi indicativi è un esercizio che ha qualcosa di ubriacante. Gli storici, specie americani, tentano esperimenti di “storia controfattuale” (che ne sarebbe del mondo se Napoleone avesse trionfato a Waterloo, se Alessandro Magno non fosse morto così giovane, se i persiani avessero sconfitto i greci a Maratona?). Gli scrittori di fantascienza immaginano le loro ucronie, o s’inventano macchine del tempo che danno l’occasione, per dirne una, di tornare a Braunau am Inn nel 1889 e uccidere nella culla Adolf bebé così da risparmiarsi una guerra mondiale, un genocidio e l’Oscar a Benigni.

Comincio a pensare che lo stesso espediente si dovrebbe applicare sistematicamente alla storia della cultura, non solo alla storia politica e militare. Me ne ha convinto Bernard-Henri Lévy, ignaro fondatore di un genere giornalistico che propongo di battezzare “coccodrillo controfattuale”. Quando morì Claude Lévi-Strauss, nel 2009, BHL scrisse che la domanda corretta da farsi, al momento di congedarsi da un grande, è questa: che cosa non avremmo senza di lui? Un esercizio di fantastoria, appunto. Faceva seguire un lungo elenco: senza Lévi-Strauss non avremmo lo strutturalismo, le filosofie del Sessantotto, i postmoderni francesi e italiani, Foucault, Deleuze, Agamben, Baudrillard, e non avremmo neppure i suoi libri, i libri di BHL. Crudeli prodigi della fantascienza: a fine lettura, quasi senza accorgermene, ero passato dall’esser triste per la morte di Lévi-Strauss al desiderare che non fosse mai nato. Leggi il seguito di questo post »

Pannella e la morte

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pannellaIl Cavaliere di Dürer, catafratto nella sua armatura, non degna di uno sguardo la Morte che gli agita sotto il naso una clessidra, e anche per questo contegno di sprezzo eroico se ne incapricciarono i nazisti. All’incisione s’ispirò Hubert Lanzinger per quel capolavoro di comicità involontaria che è il Bannerträger, il celebre ritratto di Adolf Hitler a cavallo con in pugno la bandiera della svastica, dove il Führer sembra l’Uomo di latta del Mago di Oz a cui un gigantesco apriscatole abbia fatto saltare il coperchio. Correndo con gli occhi dall’allegoria di Dürer alla patacca di Lanzinger si vede bene come i fascismi europei abbiano pervertito l’antico ethos delle aristocrazie guerriere, che prescriveva l’indifferenza a cospetto della morte, contaminandolo con un cupo, morboso desiderio di estinzione. Fu Miguel de Unamuno, nel 1936, a trovare per questo desiderio il nome giusto. Quando sentì risuonare all’Università di Salamanca il grido di guerra della Legione spagnola – “Viva la muerte!” – non poté trattenere l’irritazione e diede ai falangisti dei necrofili. È un episodio che ho sentito raccontare per la prima volta da Marco Pannella, e che mi torna alla memoria mentre osservo, pieno di ammirazione e di apprensione, la sprezzatura cavalleresca con cui il più nobile dei politici italiani ha accolto la scoperta dei suoi due tumori, fumando imperterrito i suoi sessanta sigari quotidiani e digiunando per i carcerati. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

agosto 24, 2014 at 5:36 PM

Requiem per un dilettante. Il potere dell’arte, l’arte del potere

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Adolf Hitler As Andy WarholAnni fa mi imbattei, non chiedetemi come, in una strana antologia tedesca che più che a un’antologia faceva pensare a un gruppo di perfetti sconosciuti intrappolati tra due copertine come in un ascensore guasto. C’erano Tito Livio, Arnold Toynbee e una malassortita compagnia di storici, umoristi, fumettisti, esperti di studi strategici, scrittori russi mai esistiti e soprattutto autori di fantascienza di mezza Europa. Era un’antologia di storia controfattuale – la storia fatta con i se: se Alessandro Magno non fosse morto giovane, se la Germania avesse vinto la Seconda guerra mondiale – e subito mi colpì un breve racconto di Sabine Wedemeyer-Schwiersch intitolato Requiem für einen Stümper, ossia Requiem per un dilettante. È l’immaginario discorso d’inaugurazione dello Adolf Hitler Museum a Stoccarda, nel 1975, e descrive un universo ipotetico nel quale Hitler non ha mai tentato l’avventura politica perché ha coronato il sogno di diventare pittore. Ammesso all’Accademia di Belle Arti di Vienna nel 1909, il giovane Hitler combatte la Grande guerra (l’esperienza del fronte segnerà la “sensibilità eroica” delle sue opere successive) e vivacchia nella bohème di Stoccarda finché non incontra il suo mecenate e benefattore, l’industriale Albert Häberle, capo della gigantesca multinazionale Häberle-Werke. Grazie a Häberle, lo stile Hitler del “periodo bruno” – fatto di ritratti di lavoratori, paesaggi romantici, scene di mitologia germanica – trionfa a Berlino, a Londra, a New York, domina il mercato artistico mondiale. Le altre correnti pittoriche sono considerate poco più che arte degenerata. Ogni casa tedesca ha il suo Hitler appeso in salotto, e l’impronta del suo gusto è così profonda che, suggerisce l’estensore del discorso, “in un certo senso, si può dire, anche noi siamo opere di Adolf Hitler”. Il grande artista muore a 85 anni, nel 1974, e Häberle istituisce un museo in suo onore. Leggi il seguito di questo post »

Koba il venerabile. Stalin, Bobbio, l’Unità

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612bHGA+mXL._SL500_AA280_Sarà che sono entrato in sala a film finito. Sarà che sono un anticomunista maramaldo, con tutto quel che ne viene di viltà e di candida ferocia, e che ho avuto a che fare solo con un’ingombrante carcassa storica che tutto sommato mi sembrava doveroso oltraggiare. Ma ecco, più della lettera arcinota del venticinquenne Bobbio a Mussolini mi ha fatto sobbalzare la lettera inedita del settantacinquenne Bobbio a Paolo Spriano. È datata 8 ottobre 1986, e l’ha pubblicata ieri l’altro l’Unità. L’occasione la forniva un libro, Le passioni di un decennio, che lo storico comunista aveva dedicato agli anni tra il 1946 e il 1956. Di quelle antiche passioni, scrive Bobbio, “è rimasto fermissimo in me il rifiuto di mettere in un solo sacco nazismo e stalinismo. Machiavelli diceva che è lecito al principe violare le regole della morale comune se fa ‘gran cose’. Questa massima a Stalin è applicabile (la costruzione di una società socialista è una ‘gran cosa’), a Hitler no. Hegel diceva che al fondatore di stati, che chiama ‘eroe’ o uomo della storia universale, è lecito usare la violenza che ai suoi seguaci non è più permessa. E per citare ancora Machiavelli, non ho mai trovato ritratto più somigliante a Stalin di quello che egli traccia in poche parole incisive di Annibale: ‘…quella sua inumana crudeltà, la quale insieme con infinite virtù, lo fece sempre, nel cospetto dei suoi soldati, venerando e terribile’. Venerando e terribile. Si può dire di più e di meglio? Il vostro Stalin, e potrei anche dire il nostro, non è stato, e in fondo in fondo è tuttora, ‘venerando e terribile’?”. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

aprile 7, 2013 at 5:11 PM