Posts Tagged ‘Massimo Recalcati’
Il mondo movie di Recalcati
Pasoliniano e polinesiano, è tornato Massimo Recalcati con la rubrica “I tabù del mondo”, ogni domenica su Repubblica. Pasoliniano, perché dice che viviamo una mutazione antropologica, la stessa descritta da PPP, e che se prima eravamo uomini dostoevskiani, presi nella morsa tra delitto e castigo, tra il Desiderio e la Legge, ora siamo nel tempo della disinibizione e del godimento senza limiti. Anche polinesiano però, perché non c’è Desiderio senza Legge, e per darci una regolata dovremmo riscoprire i tabù: uno a settimana per un anno. Cinquantadue sono le tappe previste dal grand tour. Il titolo, “I tabù del mondo”, fa pensare ai mondo movies, gli pseudodocumentari esotici e cruenti degli anni Sessanta – La donna nel mondo, I piaceri nel mondo, Il pelo nel mondo – ma guardando l’intervista di presentazione della rubrica la mia memoria cinematografica ha preso altre vie. Chi si ricorda di Mazzabubù… quante corna stanno quaggiù?, il film del 1971 di Mariano Laurenti ispirato all’elenco dei cornuti di Fourier? Franco e Ciccio sono due monarchici terrorizzati dalla legge sul divorzio, finché un intellettuale che ha la stessa montatura di occhiali di Recalcati li convince che l’unica via per salvare il matrimonio è liberarsi dai tabù, capovolgendo l’idea tradizionale di famiglia. I due lo stanno ad ascoltare un po’ frastornati, si chiudono in una stanza a leggere Wilhelm Reich ed Emmanuelle (con il sospetto angoscioso che sia opera di un Savoia) e ne escono convinti di avere contratto il tabù, come fosse un’infezione strana. Decidono allora di scambiarsi le mogli, un atto di libertinaggio in difesa del matrimonio, tutto sta a convincere le rispettive signore. Franco, che non riesce a farsi entrare in testa quella parola polinesiana, sceglie una via melodrammatica: “Salvami, salvami dal tamburo!”. Leggi il seguito di questo post »
Recalcati è un agente segreto. Io so (ma non ho le prove)
Edmondo Berselli si divertiva a immaginare che nelle riunioni a via Solferino, quando i casi del giorno richiedevano un commento dotto e pensoso, la redazione del Corriere brancolasse nel buio finché una vocina esitante non tirava fuori, per il sollievo generale, il nome decisivo: “Magris?”. A Repubblica non hanno più in panchina l’asso absburgico, ma chissà che anche lì non si svolgano di quei conclavi. C’è un affare tenebroso, una madre infanticida, uno zio cannibale, una suocera licantropa, qualcosa insomma che imponga di scandagliare l’animo umano a profondità dostoevskiane inaccessibili a Michela Marzano. Si discute, ci si arrovella, si pondera, ci si dispera. Poi, tana libera tutti: “Recalcati?”. Ma non è necessario che le cronache offrano crudeltà favolistiche. Può accadere per esempio che un venerato maestro di Repubblica scriva un romanzo a base di isteriche viennesi, e che questo sia accolto nella (fu) nobile collana dei Supercoralli Einaudi. Da Largo Fochetti, dopo la fumata bianca, parte una telefonata: “Professore, ci psicoanalizzi Augias”. Leggi il seguito di questo post »
Menar Lacan per l’aia. Su Massimo Recalcati
Chi consolerebbe, oggi, Luigia Pallavicini caduta da cavallo? Che domande! Massimo Recalcati disceso dalla moto. T’imbatti, in libreria, nella locandina gigante del suo ultimo saggio e non riesci a staccare lo sguardo da quel giubbotto di pelle nera su maglia nera, da quel bavero rialzato, da quella barba di tre giorni, da quegli occhi di picaro romantico, da quel ciuffo tenuto su col gel. E allora immagini la Harley-Davidson parcheggiata dietro la sagoma di cartone, e capisci di avere davanti l’ultimo rampollo, appena un po’ attempato, di una grande famiglia di bad boys dal cuore d’oro che dal Marlon Brando del Selvaggio discende ad Arthur Fonzarelli. Ma vedi pure che quella fonzietudine è mitigata da un non so che di foscoliano (non sarebbe il titolo perfetto di una tragedia del Foscolo, il “Recalcati”?), da una tempestosa dolcezza, da un pensoso e quasi commiserante narcisismo; e allora dimentichi il giubbotto, ripensi piuttosto a quelle sue camicie bianche sbottonate sull’irsuto petto, e al crin fulvo, e agli occhi incavati intenti, e già lo vedi che appresta i balsami beati per la marchesa Luigia. O per il principe Eugenio, di cui si china a commentare, nell’occasione del novantesimo genetliaco, le ultime lettere del Racconto autobiografico. I toni qui s’infiammano, e ti pare di rileggere l’ode a Bonaparte liberatore. Perché stupirsene? Eugenio non avrà creato un Impero ma ha pur sempre fondato una Repubblica, e lo psicoanalista firma di Rep., scrivendone su Rep., non può che cantarne la grandezza, al rintronar di trombe e di timballi, in perfetti endecasillabi lacaniani: di Scalfari loda il coraggio e il desiderio di avventura, il senso dei Lari familiari, il Wunsch dello scrittore, e quel fuoco illuminista che “è l’ispirazione fondamentale da cui è nata l’impresa straordinaria di Repubblica”. Leggi il seguito di questo post »
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