Posts Tagged ‘Monty Python’
Il pendolino di Foucault
Sono sceso dal pendolino di Foucault, una tratta più breve della Napoli-Portici, e ancora non so bene che cosa ho visto dal finestrino. A colpo d’occhio il paesaggio, in questo Numero zero, era lo stesso del Pendolo – la redazione squinternata di intellettuali déclassés e di ambiziosi delusi, il grande complotto, il mitomane assassinato, le liste vertiginose e petulanti, il riciclaggio forsennato di bustine di Minerva. E allora com’è che non ho l’impressione di aver letto un romanzo? Intendo: quella cosa con i personaggi, gli ambienti, lo stile, una trama di qualche interesse? Un romanzo dove manca tutto questo è come la casa in via dei Matti della canzone per bambini, senza soffitto e senza cucina, dove non c’era il letto né il pavimento, che Sergio Endrigo collocò opportunamente, o profeticamente, proprio al numero zero. In un impeto di suicidio commerciale Bompiani avrebbe potuto capovolgere la celebre formula di turlupinatura del lettore (“un saggio che si legge come un romanzo”) e aggiungere, in una fascetta editoriale: un romanzo che si legge come un saggio. Ma neppure sarebbe stato vero. Non c’è una tesi, una lezione riconoscibile nel libro, se ne possono cavare diverse e confliggenti, ma non per virtù di ambiguità letteraria, per vizio di accozzaglia culinaria. Eco dice che il suo è un Arcimboldo, modo appena velato per dire minestrone, e segnalo a chi vorrà occuparsene una chiave di lettura promettente: in breve, Numero zero è l’atto finale di autocannibalismo di un autore che, fagocitato lo scibile umano, comincia a divorare pezzo per pezzo sé stesso e la sua opera come il contadino affamato di Dario Fo. Siccome lo chef è “a vista” – pare sia la regola, nei ristoranti pretenziosi – la preparazione della zuppa autofaga non è un gran bello spettacolo. Leggi il seguito di questo post »
Il suicidio come una delle Belle arti
Che il suicidio sia la sola questione filosofica seria, dove si decide in ultimo se valga o meno la pena vivere, è il grande abbaglio di Albert Camus. Una volta venuti al mondo, per chi sia visitato dal sentimento dell’assurdo uccidersi dovrebbe essere un affare tutto sommato marginale, una bazzecola dentro quella bazzecola cosmica che è l’esistenza, forse perfino un numero comico di congedo. Se l’inconveniente è esser nati, diceva quel chiacchierone molesto di Cioran, se ne deduce che ci si uccide sempre troppo tardi. A rigore, dunque, la questione filosofica di Camus dovrebbe riguardare l’atto di generare, la perpetuazione della vita, o meglio l’iscrizione coatta di marmocchi incolpevoli a un gioco le cui regole sono così crudeli che qualunque genitore premuroso vieterebbe ai figli di parteciparvi, una volta nati – e questo è un bel serpente che si morde la coda: “Ti proibisco di andare al corso di bungee jumping, figliolo”; “E proprio tu me lo dici? Ma lo vedi a che razza di gioco mi hai iscritto?”. Leggi il seguito di questo post »
Nell’incontro di wrestling tra teofili e teofobi fate arbitrare Girard
Sono tempi magri, per il dialogo tra credenti e non credenti. Certo, non a tutte le generazioni tocca in sorte di veder battagliare, come nei primi secoli cristiani, Origene contro Celso o Giustino contro Crescente. Di Feuerbach o di Nietzsche ne nasce – è il caso di dirlo – uno ogni morte di papa, e sull’altro fronte non è che la mamma dei Kierkegaard sia sempre incinta. Ormai il grande duello pubblico sulle cose ultime ricorda quel vecchio sketch dei Monty Python in cui un monsignore e un filosofo si disputano l’esistenza di Dio in un incontro di wrestling. E così (salvo eccezioni) si dividono il ring certi energumeni dell’apologetica che brandiscono come una clava l’ideale ottocentesco di una cristianità alla Chateaubriand e degli atei da baraccone, indistinguibili dai telepredicatori, che illustrano – magari con l’ausilio di un Power Point – i cinque semplici motivi per cui la religione è una truffa. Spesso poi, dopo l’11 settembre, la materia del contendere è il nesso tra religione e violenza: i primi ti dicono che, accantonando Dio, gli uomini finiscono per scannarsi a vicenda; i secondi ribattono che è proprio Dio l’istigatore a delinquere che insinua nelle anime semplici il germe della violenza, e vagheggiano un paganesimo tollerante o una fraternità umana affrancata dal Grande Barbuto. Leggi il seguito di questo post »
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