Posts Tagged ‘Toni Negri’
Alla faccia! Galleria di ritratti filosofici
Ho sempre pensato che Emanuele Severino fosse irrappresentabile. Al limite, con qualche sforzo, riuscivo a figurarmelo come una pura astrazione geometrica, diciamo come un punto senza dimensioni. Ed è normale che sia così: a noi rimasti a valle, ciondolanti a testa china nei pascoli del divenire, chi ha scalato le vette del pensiero fino a piantare le tende sull’Essere non può che apparire come un puntino lontano. E non un punto qualunque, ma il sovrano assoluto di Pointlandia a cui Abbott, in Flatland, prestò questo magnifico soliloquio parmenideo: “Infinita beatitudine dell’esistenza! Esso è; e non c’è altro al di fuori di Esso. Quello che Esso pensa, Esso lo dice; e quello che Esso dice, Esso lo ode; ed Esso è Pensatore, Parlatore, Ascoltatore, Pensiero, Parola, Audizione; è l’Uno, e tuttavia il Tutto nel Tutto. Ah, la felicità, ah, la felicità di Essere!”. Leggi il seguito di questo post »
Filosofi DOP. L’esportazione di Agamben
Un tempo conquistavamo i mercati esteri con l’alta moda e la gastronomia, oggi esportiamo il neo-operaismo e la biopolitica, e ditemi voi se non è anche questo un segno del declino. La cosiddetta “Italian Theory” che va a ruba in mezzo mondo, specie in quello che un tempo si sarebbe detto in via di sviluppo, è uno dei rari settori del made in Italy che la crisi non ha colpito e che, anzi, della crisi si è largamente avvantaggiato. Giorgio Agamben si vende meglio del parmigiano reggiano, Toni Negri va via come il prosciutto di Parma. Tutto sta a vedere quali usi si fanno, nel mondo, dei nostri prodotti filosofici tipici, che cosa si cucina con i nostri ingredienti. Un caso interessante viene dall’Estonia, paese che si era già segnalato per l’import-export di un altro prodotto DOP, il giuliettochiesa stagionato. Lunedì il Centro Simon Wiesenthal ha protestato contro la mostra “My Poland: Recalling and Forgetting” inaugurata al Tartu Art Museum il 7 febbraio, dove otto artisti, per lo più polacchi, affrontano l’eredità della Seconda guerra mondiale e della Shoah con opere provocatorie e dissacranti.
La cabala dei devoti. Molière, Garboli e Tartufo
Lasciatemi, vi prego: spenderò i prossimi mesi chiuso nella mia stanza in compagnia di Molière, rileggendo il poco che ho letto e leggendo tutto il resto. I contatti con i miei simili si ridurranno a qualche mancia allungata dall’ombra ai consegnatori di pizze a domicilio. Non che voglia scimmiottare il misantropo Alceste (Laissez-moi, je vous prie è la sua prima battuta), ma non vedo altra scelta dopo aver letto questa frase di Cesare Garboli: “Spesso mi chiedo che cosa ne sarebbe di tanta mitologia culturale contemporanea, se esistesse oggi un provocatore della stessa forza comica di Molière”. Dunque l’ho sempre avuta sotto gli occhi, la chiave, e mi ostinavo a cercarla per angoli bui. Era qui, in questo breve articolo del 1986 intitolato “Come ridere di Lacan?”, uno dei testi di Garboli che Carlo Cecchi ha raccolto per Adelphi in Tartufo. Con il suo personaggio più nero, diceva Garboli, Molière ha creato un archetipo; non già dell’ipocrisia, come per lo più si ritiene, ma del potere intellettuale e spirituale quando nasce dal risentimento e dalla frustrazione. Tartufo è prete, politico e psicoanalista in un sol uomo; è il curatore d’anime, il guaritore di nevrosi e il diplomatico sopraffino; ma è anche l’attore che porta a un grado eroico la malafede congiunta all’intelligenza, l’arci-impostore che illumina suo malgrado l’impostura generale, l’incantatore di famiglie perbene che semina scandalo “nel quieto e mortale teatro di tutti i giorni”, lo spirito intimamente servile che per spadroneggiare deve richiamarsi agli interessi del Cielo. Il cielo della religione, nel Seicento di Molière; oggi il cielo della cultura e del prestigio intimidatorio che conferisce ai suoi sacerdoti. Intorno al 1968, mentre traduceva Tartuffe, Garboli conobbe Lacan in casa di amici e subito fiutò, dietro l’uomo, l’archetipo. Si ritrovò sotto il naso una strana varietà di Tartufo e capì che, proprio come Molière, non aveva l’obbligo di prenderlo sul serio: “Quale mutilazione può essere più orribile di quella che ci vieta di ridere di ciò che è comico?”. Leggi il seguito di questo post »
Faccia a faccia tra un grande e un piccolo uomo
C’è un documento straordinario, seminascosto nell’archivio di RadioRadicale, che merita di essere portato un po’ più alla luce. Si tratta del faccia a faccia del novembre 1984 tra Toni Negri ed Enzo Tortora, candidati entrambi dal Partito Radicale (il primo alle politiche del 1983, il secondo alle europee del 1984) nel quadro della battaglia per la “giustizia giusta” e contro i tempi interminabili della carcerazione preventiva.
I fatti sono noti: Toni Negri, mancando a tutte le promesse fatte, scappò in Francia, dove ricorse alla Dottrina Mitterrand per fare il latitante d’oro (e di Stato). Di chi restava nelle patrie galere – cioè di quelli per cui aveva promesso di battersi – si disinteressò, ma in compenso scrisse molti libri. Enzo Tortora rinunciò all’immunità parlamentare e si consegnò pubblicamente alle forze dell’ordine, per tornare agli arresti (domiciliari, stavolta) e da lì condurre la sua battaglia, culminata nel grande referendum del 1987 per la responsabilità civile dei magistrati.
Vittorio Pezzuto, autore del libro definitivo su Tortora, Applausi e sputi, ricostruisce il retroscena del faccia a faccia, che fu possibile grazie all’intraprendenza del giornalista Gigi Speroni, il quale – per la mediazione dell’allora capogruppo radicale alla Camera Francesco Rutelli – riuscì a mettersi in contatto con il latitante. Leggi il seguito di questo post »
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