Guido Vitiello

Archive for the ‘Politica’ Category

VolksWagner, o la caduta degli zebedei

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VWGNR

Fuori l’Olimpo, dentro il Walhalla. Teseo, Antigone e il Minotauro rientrino pure negli spogliatoi, e si scaldino a bordo campo Wotan, Sigfrido e tutto il sindacato dei metalmeccanici nibelunghi che nelle viscere della terra assemblano Volkswagen. Dopo l’ubriacatura neoclassica dei giorni di piazza Syntagma è l’ora della cavalcata dei wagneriani: “L’oro falso del Reno”, commenta il Quotidiano Nazionale, annunciando la “caduta degli dei di Wolfsburg”; “Nel mondo dell’auto globale di massa, è quasi un Götterdämmerung, un wagneriano crepuscolo degli dei” (Repubblica); “La caduta del mito” (Zucconi, sempre su Rep.); “È la caduta degli dei. Non dall’Olimpo ma dalla Borsa di Francoforte” (Il Secolo d’Italia); “Volkswagen sembra uno scandalo più ‘tedesco’ perché ne ha scalfito il mito più grande, quello che ha ucciso anche Sigfrido: l’invulnerabilità” (La Stampa, che titola “La caduta degli dei dell’auto”). Marco D’Eramo, che è arrivato a Bayreuth senza prima aver smaltito tutto l’ouzo, prepara su MicroMega una specie di cocktail sincretista elleno-germanico: “Dalla Schadenfreude, passando per la Nemesi, non si può che finire nella Götterdämmerung”. E dove, sennò? In altre parti del mondo gli amministratori delegati si limitano a dimettersi, i titoli di borsa a crollare; ma dal cielo sopra Berlino son sempre dei che cadono, più frequenti degli acquazzoni. Un commentatore evocò la Götterdämmerung perfino per lo schianto Germanwings (a quanto pare è la stessa caduta dei gravi ad avere, in Germania, proprietà wagneriane più che galileiane).

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settembre 28, 2015 at 4:10 PM

Cordero for dummies

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corderoLa prosa di Franco Cordero si può veramente definire una guerra illustre contro il Tempo, e per questo lo leggo e lo rileggo con la stessa malsana avidità con cui mi soffermo davanti alle vetrine di finti mobili antichi. Il suo comò di più recente fattura, “Il berlusconismo visto dalla Luna”, esposto nei saloni di Repubblica giovedì 3 settembre, è una squisitezza per noi amanti del kitsch antiquario. A far da ossatura c’è il solito periodare da storiografo latino, diciamo pure un Sallustio rifatto da un telegrafista (“cortigiani di lungo corso cambiano cautamente divisa – stop – oligarchi della pseudosinistra baciavano la pantofola berlusconiana – stop – ex comunisti garantiscono intangibili i fondamenti del conflitto d’interesse – stop – manovre camerali lo riqualificano aprendogli la via d’una doppia rivincita – stop”). Su questo solido legno romano antico si stende il piallaccio di un bel secentismo da anonimo manzoniano, un centone così persuaso di sé che forse non sa neppure di essere un centone – l’Italicum che è “monumento d’insigne furberia”, la corruzione berlusconiana che “sapeva d’epidemia cinquecentesca (morbo gallico o ispanico)”; a far da vezzoso ornamento, infine, qualche tocco del Gadda satirico, quello di Eros e Priapo, ma come essiccato di ogni umor nero e ridotto alla moltiplicazione degli epiteti (Re Lanterna, Berlusco Magnus, l’Olonese). Cosa volete di meglio, per la divertita pacchianeria del vostro salotto? Cosa aspettate a presentarvi all’asta? Leggi il seguito di questo post »

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settembre 11, 2015 at 8:10 PM

Usi del crocifisso di Morales (con invito a rileggere Revel)

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la-grande-parade-de-jean-francois-revel-4054-MLA115046210_5242-F“A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra” (principio evangelico). “Se qualcuno insulta tua madre, mollagli un pugno” (corollario di Bergoglio). “Se qualcuno ti regala un crocifisso ibridato con la falce e martello, daglielo tre volte in testa: la prima per la sua rieducazione estetica, perché non si rifila a un Papa un soprammobile kitsch di quella fatta; la seconda per il suo bene intellettuale, perché la Teologia della liberazione era anch’essa un soprammobile kitsch nonostante le atrocità dei militari e la nobiltà dei martiri; la terza per il puro piacere di sentire il rintocco della sua zucca vuota” (triplice assioma di Vitiello). Questo s’io fossi Papa; e poiché Papa non sono, neppure ho il genio gesuitico di tornarmene dalla Bolivia con due foto ricordo: una in cui Morales mi appioppa il suo monile, l’altra in cui esco in trionfo da un Burger King. Ma appunto non sono Papa, sono solo un tipo irascibile a cui capita di chiedersi, un po’ incredulo: possibile che nel 2015 stiamo ancora a battagliare sul comunismo e i comunisti? In questo stato d’animo non proprio pacificato ho letto un intervento dello scrittore Cristiano de Majo sulla rivista Studio intitolato Addio popolo. Leggi il seguito di questo post »

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luglio 12, 2015 at 1:14 PM

Sui danni del liceo classico

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$_57Le radici comuni dell’Europa non sono né cristiane né pagane, le radici comuni dell’Europa sono nel liceo classico fatto a cazzo di cane. È l’unica conclusione che mi sento di trarre dopo giorni di lettura forsennata dei commenti alla vicenda greca, nei quali Alexis Tsipras è stato paragonato, in ordine sparso: all’astuto Ulisse che naviga nei mari della crisi in cerca di un approdo sicuro, sfuggendo alla Circe europea che trasforma gli stati in porci (i famosi Pigs); a Perseo che decapita l’orrida Gorgone della troika; a Ercole che decapita con più spargimento di sangue l’Idra di Lerna della medesima troika; ad Aiace colto da improvvisa pazzia; a Edipo che non si accorge di essere lui stesso la sciagura di Tebe; a Teseo che deve inventarsi un espediente per condurre la Grecia fuori dal labirinto; ad Achille che anziché vivacchiare preferisce morire giovane nell’eroico assedio referendario; a Giasone che vuole reimpadronirsi del vello d’oro del capitalismo; al tracotante Icaro che perde le ali per aver troppo alzato la posta dei negoziati; a Tantalo punito per aver barato sui conti pubblici, condannato a tendere invano le mani verso gli alberi rigogliosi del credito; ad Apelle figlio di Apollo che fece una palla di pelle di pollo (va bene, questa non c’era, l’ho aggiunta io). C’è poi chi ricorda che Tsipras non è Zeus, al limite un mortale di talento, e soprattutto che non è Re Mida. Per ciascuno di questi dèi, eroi e titani assortiti si trovano, a frugar bene nei giornali italiani ed europei, decine di articoli. Un colossale pride di antichi compulsatori del Rocci e del Montanari, o male che vada di fan dei cartoni animati di Pollon. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

luglio 5, 2015 at 12:52 PM

Il buon selvaggio televisivo

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ruota-fortuna-renziQuando pensano a Matteo Renzi non gli viene in mente nulla. O meglio, gli vengono in mente frasi come questa di Rino Genovese, filosofo: “Matteo Renzi è il nulla. Lo dico con cognizione di causa per averlo incontrato una volta, ormai diversi anni fa, alla presentazione fiorentina di un libro”. L’articolo, scritto a commento delle primarie del 2013, si è guadagnato un posto nel mio sciocchezzaio per molte ragioni. Per la comicità (involontaria) che si sprigiona dall’attrito tra la perentorietà dell’affermazione e l’irrisorietà del pretesto; per la boria senza limiti; perché mi ha fatto venire i capelli bianchi alla prospettiva di vent’anni di antirenzismo come copia iperrealista dell’antiberlusconismo; perché questo trattar Renzi da tabula rasa mi ha rivelato con una chiarezza senza precedenti una posa che di precedenti ne ha molti, e uno più ferale degli altri, la “Fenomenologia di Mike Bongiorno” di Umberto Eco. Leggi il seguito di questo post »

Ovvio dei popoli. Momenti di trascurabile banalità

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captain-obvious-comic-coverIl mito della rivoluzione è l’oppio degli intellettuali, diceva Raymond Aron, e lo diceva in tempo utile (i carri sovietici non erano ancora entrati a Budapest). Ben vengano dunque le terapie di disintossicazione, anche le più abborracciate e ritardatarie. Prendiamo il caso italiano. Quando, negli anni Ottanta, si esaurirono le riserve d’oppio rivoluzionario, si prospettò il rischio di un’astinenza di massa, con tutti i sintomi connessi (paranoie, allucinazioni, suicidi). Ci si affidò allora all’oppioide sintetico della questione morale e della diversità comunista, assunto così a lungo e in dosi così massicce da generare a sua volta dipendenza. Oggi, finito anche il metadone del dottor Berlinguer, alcuni medici caritatevoli somministrano un surrogato ancora più blando, quello che Berselli chiamava l’ovvio dei popoli.

Nel 2012 Roberto Saviano rimase folgorato da un saggio su Gramsci e Turati e lo prescrisse agli ex oppiomani: “Consiglio questo libro a chi si sente smarrito a sinistra”, annunciò su Repubblica. Che cosa aveva appreso di tanto eccitante? Che era esistita, un tempo, una sinistra riformista e tollerante. Con soli novantun anni di ritardo, arrivava per Saviano la commovente scoperta della scissione di Livorno. Di questa sinistra buona si erano perse le tracce, a quanto pare doveva essere stata una corrente clandestina, finché il suo spirito non è tornato a vivere nel Pd. Chissà cosa accadrà quando, nel 2051, Saviano s’imbatterà nella Storia del Psi di Antonio Landolfi, che da Turati arriva fino a Craxi, o nella Breve storia del liberalismo di sinistra di Paolo Bonetti. Nel frattempo, meglio cercare i propri modelli altrove, dove capita, perfino nella sinistra cilena ai tempi del referendum del 1988. Leggi il seguito di questo post »

Revival 1992. Guida per il feticista di Tangentopoli

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19b172a9bb984afa77c2f522d545a9637d520511Con regolarità di marea, le ondate nostalgiche si presentano dopo un ventennio. Lo ha accertato il sociologo americano Fred Davis, uno dei primi osservatori di quel fenomeno che passa sotto i nomi piuttosto irritanti di vintage, rétro o revival. Negli anni Settanta si guardava agli happy days dei Cinquanta, gli Ottanta rimpiansero i fabulous Sixties. È dunque perfettamente puntuale il revival degli anni Novanta che Sky sta alimentando intorno alla serie tv 1992, dedicata all’anno di Mani pulite. Seguirà, perché così vuole l’inesorabile legge storica, il recupero feticistico di tutti gli orrori di quel decennio, all’insegna di monosillabi non meno irritanti come camp, cult e trash. Ma poiché, ammonivano gli stoici, il destino guida chi lo asseconda e trascina i riluttanti, ho deciso di non opporre resistenza e di portare il mio contributo al vintage di Tangentopoli. Ecco i reperti che posso offrire all’asta. Leggi il seguito di questo post »

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marzo 29, 2015 at 12:03 PM

Divisi in famiglia

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breve-storia«I Tories mi chiamano Whig, e i Whigs Tory». L’antico verso di Alexander Pope sembra scritto per consolare quegli infelici che, in Italia, si ostinano a definirsi liberali di sinistra. Oggi le cose sono più facili, ma per tutto l’arco della Prima Repubblica i rampolli di questa strana famiglia – dal Partito d’Azione agli Amici del Mondo al Partito Radicale – hanno penato molto a farsi riconoscere un posto sulla mappa politica. Visti da sinistra erano a destra, visti da destra erano a sinistra, eppure non erano al centro: bel rompicapo da Settimana Enigmistica. C’è da dire che un po’ se la sono cercata. La formula signorile con cui Pannunzio riassumeva l’ispirazione del Mondo – «progressisti in politica, conservatori in economia, reazionari nel costume» – non aiutava granché a far chiarezza. Aggiungiamo una certa litigiosità endemica del liberalismo italiano, a destra come a sinistra: la vecchia battuta secondo cui i liberali possono convocare il loro congresso in una cabina telefonica va emendata dicendo che, una volta là dentro, la prima cosa che fanno è prendersi a cazzotti per dissensi inconciliabili sulla disputa Croce-Einaudi o sulla valutazione storica di Giolitti. E se si azzuffano in una cabina telefonica, possono farlo anche tra le copertine di un libro. Breve storia del liberalismo di sinistra (Liberilibri) dà l’occasione di assistere a un’adorabile lite condominiale tra l’autore, Paolo Bonetti, e il postfatore, Dino Cofrancesco. Bonetti compone con dottrina ed eleganza un magnifico ritratto di famiglia, da Gobetti a Bobbio. Cofrancesco lo smonta punto per punto, riaprendo con l’occasione l’eterna querelle sull’azionismo. Storia e controstoria in un solo volume: il duello, cavalleresco e generoso, è da applausi. Da liberale apolide, come tanti nella Seconda Repubblica, mi sono sentito finalmente a casa. Ma una casa divisa in sé stessa non può reggersi, dicono i Vangeli, e così mi è tornato in mente, con un brivido, un Maurizio Costanzo Show di molti anni fa. Era un «uno contro tutti» di Marco Pannella, e tra i tutti c’era Bruno Zevi, allora presidente del Partito Radicale. Quando venne il suo turno, Zevi fu feroce: ma insomma, disse a Pannella, ci vuoi dire chi cavolo siamo? E prese a elencare le innumerevoli sigle della galassia radicale. Lo spettatore medio doveva già essere piuttosto disorientato da quella litania, sennonché Zevi , rosso come un peperone, prese a inneggiare a un’altra sigla ancora, estinta da mezzo secolo: «Viva il Partito d’Azione!». Leggi il seguito di questo post »

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marzo 25, 2015 at 12:41 PM

La sfinge della responsabilità civile (1987-2015)

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sphinx001 amazing stories v1 # 4In un racconto di Poe, “La Sfinge”, un uomo vede dalla finestra un mostro terrificante, più imponente di una nave da guerra, che discende sul pendio di una collina. Scopre poi che si trattava di una sfinge testa di morto, una farfalla piuttosto inquietante ma pur sempre una farfalla, che si arrampicava su un filo di ragno. Solo per via di un’illusione ottica gli era apparsa così grande da oscurare la collina. Più mi appassionavo al dibattito sulla responsabilità civile dei magistrati, più mi tornava in mente questo racconto. Vezzi letterari, dirà qualcuno: non era più semplice evocare la montagna che partorisce un topolino? E no, qui bisogna aver cura di scegliere bene i simboli, tanto più che la battaglia sulla responsabilità civile, si può dire, non vive che di quelli. È così oggi, e in fondo era così anche nel 1987, l’anno del referendum tradito. Tutto sta a capire che uso si fa delle armi simboliche.

Ho ripreso in mano l’utilissimo Storia di un referendum di Raffaele Genah e Valter Vecellio. Uscito un mese dopo la vittoria del sì, il libro ricostruiva la campagna referendaria e includeva un’antologia del dibattito dell’epoca. Molte pagine danno un brivido di déjà-vu degno di un racconto di Poe. Il fronte del no agitava già allora le stesse sfingi testa di morto gabellate per mostri: il richiamo ricattatorio ai giudici che rischiano la vita, il sospetto di una vendetta orchestrata dai ladri (i politici) contro le guardie, lo spettro del giudice intimidito dall’imputato ricco, le profezie sul collasso dei tribunali, la denuncia lacrimevole di un clima punitivo. I difensori del sì erano più cauti sugli effetti di un’eventuale legge, ma altrettanto persuasi del suo valore di simbolo: era l’occasione per aprire una discussione nazionale sul ruolo del magistrato e sui confini dell’azione giudiziaria. Uno scontro simbolico quanto si vuole, ma con gli stendardi ce le si dava di santa ragione. Andò a finire come sappiamo, ma fu se non altro un grande momento di verità. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

marzo 8, 2015 at 4:11 PM

Malattia melodrammatica

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6020646_341473Può capitare che la frase giusta sia pronunciata dalla persona sbagliata, nel momento sbagliato e con l’intendimento sbagliato. La risposta che il capo brigatista Mario Moretti diede a Sergio Zavoli, che gli domandava con quale animo avesse affrontato i momenti prima dell’uccisione di Aldo Moro, è probabilmente uno di questi casi: “È difficile in un paese come il nostro, abituato al melodramma, spiegare la tragedia”. Se in Germania il sequestro Schleyer da parte della Raf apparve subito in una luce tragica – tanto che in un film girato a caldo, Germania in autunno, l’archetipo portante era l’Antigone di Sofocle – in Italia anche al caso Moro abbiamo adattato gli schemi più familiari del melodramma: la vittima tenuta ostaggio da barbari aguzzini, che testimonia nella sofferenza la sua virtù, smascherando viltà e macchinazioni dei vecchi compagni di partito. A questa consuetudine antica – Gramsci parlava di “malattia melodrammatica” – la storica Carlotta Sorba ha appena dedicato un libro prezioso, Il melodramma della nazione. Politica e sentimenti nell’età del Risorgimento (Laterza). Prezioso, perché mette in ordine e in prospettiva tratti più o meno latenti della vita pubblica italiana, dal culto della vittima all’onnipresenza delle lacrime all’ostentazione virtuosa dell’indignazione. Leggi il seguito di questo post »