Guido Vitiello

Posts Tagged ‘Elémire Zolla

Indiscrezioni sul Libro del Futuro

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Cabinet_of_Curiosities_1690s_Domenico_RempsNon sarà il Gesamtkunstwerk di Wagner, e non sarà neppure il Livre di Mallarmé. La notizia è ancora confidenziale, ma si può star certi, la via all’“opera d’arte dell’avvenire”, o meglio al libro futuro, l’ha indicata trent’anni fa J. Rodolfo Wilcock. Non ne fece proclami. La consegnò, quasi sbadatamente, al risvolto di copertina dei Due allegri indiani, nell’attesa di un pubblico non ancora nato: “L’opera che qui proponiamo è tutta tesa verso il lettore futuro; non per nulla essa si ispira, sia nel metodo che nella mancanza di metodo, all’esempio cinese di quelle vaste raccolte classiche di fatti curiosi, massime morali, casi storici reali o fantastici e illustrazioni della natura arditamente mescolati e non senza grazia presentati alla rinfusa”. L’attesa potrebbe durare ancora qualche anno o millennio, ma poco importa. Un antenato di cui tener conto, quando si tratterà d’inventarsi una genealogia reale o fantastica per questo Oltrelibro di là da venire, saranno quei gabinetti delle meraviglie secenteschi dove ci si smarriva tra i “curiosa” naturali e artificiali, tra denti di narvalo e orologi meccanici, ossa di mammut e tavolini da tric-trac. Ecco, il libro dell’avvenire sarà una Wunderkammer liberata, infine, dal demone ordinatore dell’enciclopedia. Consumato il tempo dei libri da capire e da decrittare, da ponderare e da sviscerare, da costeggiare docilmente e da seguire al guinzaglio, verrà l’ora dei libri da visitare e da saccheggiare, i libri affollati di reperti ricchi e strani, in cui si possa trascorrere di stanza in stanza senza curarsi della planimetria. Ma prima che questa perorazione lasci la forma della fantasticheria per prender quella, in sé ridicola, del manifesto, veniamo all’occasione che l’ha suscitata: Il calcolo dei dadi, un piccolo libro di Marco Dotti pubblicato dall’editore ObarraO che ha per tema il gioco d’azzardo. Leggi il seguito di questo post »

Elémire Zolla, scrittore (1926-2002)

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Fanno festa Berlicche e Malacoda, i diavoli tentatori di C.S. Lewis, quando un cristiano in preghiera dà prova di credere che il Padreterno sia collocato in qualche punto nello spazio, diciamo pure “su in alto, all’angolo sinistro del soffitto della camera da letto”, o meglio ancora dov’è appeso il Crocefisso: è il segno certo che sta adorando un idolo, un fantoccio mentale, ed è tanto di fatica satanica risparmiata. Ma finché si resta ancorati al mondo di quaggiù, piaccia o meno, la gravità è la nostra signora, le coordinate spaziali la nostra condanna. Sarà pur vero che ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso, come insegna la tavola smeraldina; tuttavia quando si è bassi e piccini, e ciò che sta in alto sta davvero in alto, e per giunta non si dispone di uno scaletto, non c’è sapienza ermetica che possa sottrarci a un sentimento di soggezione. Così, quando da bambino me ne stavo a fissare per ore la biblioteca paterna, c’era un libro che più degli altri m’incuteva timore, collocato in uno scaffale abbastanza alto perché io non potessi acciuffarlo, ma abbastanza basso da permettermi di leggere, sul dorso un poco ingiallito, un autore e un titolo dal suono arcano, che al solo scandirli a fior di labbra istigavano un terrore reverenziale: Elémire Zolla, Eclissi dell’intellettuale. Da dove veniva, quel nome altero, a che lingua apparteneva, e come si doveva pronunciarlo? E quali idee si agitavano sotto quel titolo cupo, perentorio? Leggi il seguito di questo post »

Il filosofo va in banca. Le speculazioni di Giorgio Agamben

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Se solo ci fossero gli abati di una volta! Heinrich Heine non dimenticò mai le botte che si buscò dal suo istruttore di francese, l’abate d’Aulnoi. Per sei volte questi gli aveva domandato: “Henri, come si dice fede in francese?”. E per sei volte, sempre più vicino al pianto, il giovane Heine aveva risposto: “Si dice le crédit”. D’imprimergli nella mente con le buone una paroletta semplice semplice come foi proprio non c’era verso. Fosse vivo oggi, l’abate d’Aulnoi darebbe una bella tirata d’orecchi a Giorgio Agamben, che giovedì su Repubblica ha eretto un castello di carte speculativo sullo stesso equivoco per cui Heine si beccò quegli sganassoni di gioventù. L’articolo, che porta un bel titolo da ruggenti anni Trenta, Se la feroce religione del denaro divora il futuro, comincia in modo affabile e colloquiale, ma Agamben resiste appena quindici righe prima di calare in tavola la prima parola greca. Il suo giro mentale, in breve, è questo: fede, nel greco del Nuovo Testamento, si dice pistis; ma la stessa parola vuol dire anche credito, tanto che trapeza tes pisteos significa banca di credito; e infatti, tanto la fede che il credito danno sostanza alle nostre speranze; ma siccome oggi non c’è più fede religiosa, tutte le speranze si sono rintanate nel credito; non ci rivolgiamo più alle chiese aspettandoci il paradiso ma affidiamo il nostro futuro alle banche, che sono i santuari del capitalismo finanziario, la religione “più feroce e implacabile che sia mai esistita”, nonché la “più oscura e irrazionale”. Caspita, e noi che dicevamo tutto quel male dei sacrifici umani aztechi: ora tutti a chiedere scusa al dio Huitzilopochtli. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

febbraio 19, 2012 at 9:03 am

Quando penso a Umberto Eco, non mi viene in mente nulla.

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Quando penso a Umberto Eco, non mi viene in mente nulla. Possibile? Eppure ho letto tutti i suoi libri (salvo quello dell’ornitorinco), alcuni li ho letti due volte, alcuni perfino studiati. E non solo l’Eco ufficiale, anche quello apocrifo e semiapocrifo, che è il mio preferito, il coautore-ombra di Come farsi una cultura mostruosa, libro-quiz di Paolo Villaggio, o l’ispiratore del soggetto di Quando le donne avevano la coda di Pasquale Festa Campanile. Nulla, nemmeno un mozzicone di frase. Dell’Eco intellettuale pubblico, intendo. Eppure è da lui che ho appreso l’esistenza di una cosa antica chiamata mnemotecnica, e di un tale chiamato Raimondo Lullo. Che strano, con altri funziona a meraviglia. Se mi dimentico di Pier Paolo Pasolini, ho pronta una lista di parole chiave: scomparsa delle lucciole, romanzo delle stragi, discorso dei capelli, rivoluzione antropologica. Se Leonardo Sciascia mi cade dalla memoria, lo riacciuffo al balzo con l’affaire Moro, i professionisti dell’antimafia, le manette al posto della bilancia, la lite con Guttuso sull’ortodossia di partito. Lo stesso potrei fare con Elio Vittorini, con Ignazio Silone e anche con tanti altri che mi sono meno congeniali. Possibile che in cinquant’anni di articoli, interventi, polemiche e rubriche Eco non abbia detto nulla? L’ipotesi è spaventosa, dev’essere senz’altro una falla del mio sistema mnemotecnico. Chiedo aiuto agli amici che hanno più fosforo in zucca. “Ma dai, non ti ricordi di quell’intervento sull’Ur-Fascismo sempre in agguato, una specie di fascismo perenne e perennemente strisciante?”. Sì, mi dice qualcosa, ma dov’era? Forse nel Superuomo di massa, tra Tarzan, Rocambole e Arsenio Lupin? Stava parlando di romanzi d’appendice fantapolitici? “No, pare dicesse sul serio”. Ah. Un altro amico mi ricorda di quella volta in cui scrisse che una buona metà dell’elettorato italiano aveva una visione del mondo da Migrante Albanese, abbindolato dalla tv, refrattario alla cultura, pronto a comprare qualunque giornale di destra o di sinistra purché ci fosse un sedere in copertina. Caspita, forte questa, ma dov’era, nel Diario minimo? Per caso in quella satira spassosissima in cui sfotteva gli intellettuali apocalittici che denigravano l’“uomo-massa”, facendo finta che fossero filosofi greci e chiamando Elémire Zolla “Zollofonte”? No, mi dice l’amico, era un solenne referendum morale che sottopose alla nazione alla vigilia delle elezioni del 2001. Ah però. Ancora nulla. Un terzo amico, più informato, cerca infine di risvegliarmi la memoria con il bell’articolo che Eco scrisse nell’occasione negromantica della riapertura di Alfabeta. Era un elogio dell’intellettuale come ficcanaso e grillo parlante, libero e disorganico, e vi si leggeva che “il vero intellettuale è anzitutto colui che sa criticare quelli della propria parte, perché per criticare il nemico bastano gli uomini dell’ufficio stampa”. E allora, come per incanto, ho capito perché pensando a Umberto Eco non mi viene in mente nulla.

Articolo uscito sul Foglio il 5 gennaio 2012 con il titolo Festeggiare gli 80 anni di Umberto senza riuscire a ricordarsi nulla di lui

“Il Mondo” di Pannunzio online (nei prossimi 830 anni)

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Abbonatevi a Il Mondo, settimanale politico economico e letterario. Direttore: Mario Pannunzio. Redattore capo (o redattore cupo, secondo la sua formula): Ennio Flaiano. Ogni settimana – o quasi – le inchieste di Ernesto Rossi, le vignette e i disegni di Mino Maccari, la rubrica di Guido Calogero e quella di Alfredo Todisco. Per la letteratura inglese e americana c’è Agostino Lombardo, sommo traduttore di Shakespeare. Per la tedesca Ladislao Mittner, o Aloisio Rendi. E così via: ogni cantuccio dello scibile (così come dell’aleatorio e dell’inconoscibile) ha un’intelligenza sopraffina preposta a illuminarlo.

Se siete fortunati, potrete trovare tra le pagine un racconto di Landolfi o di Comisso, un intervento di Croce o di Salvemini, uno stralunato reportage di Alberto Arbasino a zonzo per i teatri d’Europa o un ancor più stralunato reportage di Elémire Zolla dal Parco dei Mostri di Bomarzo. Ma capita spesso di imbattersi anche in Soldati e Alvaro, Silone e Brancati, e credetemi se vi dico che non ho menzionato che una piccolissima parte dei nomi per cui val la pena abbonarsi. Leggi il seguito di questo post »

Annus Mirabilis. Il Guvi Book Award 2009

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Caspita, che annata d’oro! Per una volta, sono soddisfatto delle mie letture. E con gran pena sono riuscito a distillare due Top 15 (Narrativa e Saggistica), una Top 10 “di settore” (Extravaganzas) nonché una Caienna dove scontano la loro condanna i tre libri più insulsi letti nel 2009. L’esortazione d’inizio anno, che rivolgo per primo a me stesso, è ancora una volta questa: non farti dettare le scelte di lettura dai calendari degli editori e degli uffici stampa, dal ricatto dell’attualità, dal regno dell’adulazione universale (il cui rovescio è il combattimento dei galli) che domina il cosiddetto giornalismo culturale, dalla pressione di compagnie e circoletti, spesso amabili, che fanno leva sul senso di vergogna. “Ma come, non hai letto Tal de’ Tali?”. Ebbene no, non l’ho letto, non lo leggerò mai: la vita è troppo breve. Siate crivellati di lacune, con lo stesso orgoglio che il nobile Gruviera ostenta nel vostro frigorifero. Leggete i classici, e seguite le vostre ossessioni ovunque vi portino. Tutto il resto è enciclopedismo, snobismo, accademia, fighettismo letterario, o soggezione alla “fama”: che è poco meno che vento.

Se non vi fidate di me, fidatevi di Jonathan Swift: “Dei settemila scritti attualmente prodotti in questa rinomata città, prima che il sole abbia compiuto la prossima rivoluzione, non resterà l’eco di alcuno”. O di Joseph De Maistre: “Ma una raccomandazione mi resta da farvi, Signora, ed è che, all’epoca in cui viviamo, è più che mai necessario di stare in guardia contro la riputazione dei libri, visto che il secolo che tramonta rimarrà sempre segnato nella storia come la grande epoca della ciarlataneria in tutti i campi, e soprattutto delle fame usurpate”.

E ora, le classifiche (compilate, per pigrizia, in ordine sparso, in una notte quasi insonne: perciò non è detto che il numero sette sia meno bello del numero tre, eccetera). Leggi il seguito di questo post »