Guido Vitiello

Posts Tagged ‘Giovanni Falcone

Antimafia extraterrestre (Mani bucate, 11)

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Sono qui che ripercorro la scala degli “incontri ravvicinati” dell’ufologo J. Allen Hynek per decidere su quale gradino collocare il misterioso fenomeno in cui sono stato coinvolto la mattina del 20 novembre 2015. Quel giorno, poco dopo le undici, mi sono trovato a bordo dello stesso Oggetto Volante Piuttosto Facile Da Identificare – il volo AZ 1797 diretto a Palermo Punta Raisi – in compagnia di due creature extraterrestri di più ardua classificazione, che viaggiavano però separatamente. Il primo era Bruno Vespa, che nello schema delle razze aliene proposto dall’ufologo Brad Steiger credo si possa far ricadere nel tipo Delta, sottospecie insectoids; il secondo era Giorgio Bongiovanni, il veggente di fiducia della Procura di Palermo, direttore della rivista AntimafiaDuemila, con le mani fasciate per via delle stimmate. Il tutto è durato poco più di un’ora, ero stordito e spaventato a morte, scrutavo dal finestrino per controllare se per caso vi fossero strani cerchi nel grano, mi ripetevo come un mantra che la superstizione porta sfortuna e che non dovevo attribuire a quella concomitanza nessun significato particolare; ma col senno di poi mi sento di dire che la categoria più adatta a descrivere ciò che ho vissuto è il cosiddetto CE4, incontro ravvicinato del quarto tipo – un gradino aggiunto alla scala di Hynek dall’intricata casuistica dei suoi prosecutori – ossia il rapimento di un essere umano da parte di un Ufo o dei suoi occupanti. Il termine tecnico è alien abduction. Vi assicuro che non è bello. Leggi il seguito di questo post »

I santini di Giovanni Falcone e l’antimafia devozionale

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cadaveri-eccellenti-movie-poster-1976-1020540741I soldati che crocifissero Gesù si giocarono a sorte le sue vesti, e la metafora si presta bene a certi tentativi di accaparrarsi l’eredità morale di Giovanni Falcone. Ma è decisamente più adeguata una scena di Amore e guerra, il film di Woody Allen ambientato in Russia al tempo delle campagne napoleoniche: quella in cui la vedova di un soldato caduto sul fronte si spartisce con la sua rivale le reliquie dell’uomo amato da entrambe. “Io vorrei che ci dividessimo le sue lettere”, le dice singhiozzando. E poi: “Lei vuole le vocali o le consonanti?”. Umorismo surreale ma neppure tanto, perché è grosso modo quel che accade con le parole di Falcone, ritagliate e incollate per servire i propositi più vari. Dal “cadavere eccellente” del magistrato ucciso al gioco surrealista del cadavre exquis il passo è breve.

Qualche settimana fa Giorgio Bongiovanni, il veggente e ufologo con le stimmate animatore di Antimafia Duemila – organo ufficioso della Procura di Palermo, a detta di Ingroia – si è scagliato contro Giovanni Fiandaca, colpevole di non voler ospitare nella Facoltà di Giurisprudenza l’incontro organizzato dalla rivista per l’anniversario della strage di Capaci (si è poi svolto venerdì scorso al Conservatorio). Fiandaca era scettico già sul titolo, “Ibridi connubi”, ma Bongiovanni, trionfante, gli ha ricordato che si trattava di ipsissima verba di Falcone, per l’esattezza di parole pronunciate a Courmayeur nell’aprile del 1986. La formula, ibridi connubi, vuol dire tutto e nulla, potrebbe adattarsi indifferentemente agli esperimenti di Mendel sui piselli o all’accoppiamento tra Pasifae e il toro di Creta; e anche letta nel contesto originario si presta a molte interpretazioni. Ma è fin troppo evidente il sottinteso dei promotori: lo spirito di Falcone vive ancora nei pm del processo sulla trattativa, che è la madre di tutti gli ibridi connubi. L’anno scorso il titolo era “Menti raffinatissime”, con sottintesi e allusioni dello stesso tipo. Leggi il seguito di questo post »

Sul “pensiero selvaggio” giudiziario

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queloOgni metafora infelice è infelice a suo modo, ma tutte le metafore felici si somigliano: le prendi alla lettera, le prendi sul ridere, le osservi da lontano, le scruti da vicino, da qualunque lato le guardi restano sempre felici. Diceva Giovanni Falcone che l’obbligatorietà dell’azione penale è diventata un feticcio, e mi è sempre parsa metafora felicissima. Per averne conferma ho fatto un piccolo esperimento. Dal mio scaffale etnologico decisamente démodé ho pescato Primitive Culture (1871) di Sir Edward Burnett Tylor, uno dei primi a teorizzare sul feticismo. A quel che leggo, il feticista crede che in un oggetto materiale dimori lo spirito degli antenati, e che questo oggetto – una statuetta, un amuleto, un ciocco di legno – possa esercitare un’azione magica. Poi ho aperto il nuovo MicroMega sulla giustizia (numero epocale, che segna il passaggio dei manettari alla fase nichilista-punk), dove c’è un intervento del procuratore di Torino Armando Spataro dedicato appunto all’obbligatorietà, che ha per titolo la metafora – ahi, quanto infelice – “Il dito e la luna”. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

novembre 9, 2014 at 10:37 am

Lo Stato e l’Antistato. Nascita di una mitologia

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cartolina colore duelloL’opera dei pupi è cancellata, con grande disappunto dei pupari e di chi era già pronto ad applaudirli. Rinaldo non duellerà con Rodomonte, Napolitano non dovrà incrociare le spade con Riina. Era tutto sceneggiato con minuzia, per il debutto nel teatrino del Quirinale: cuntami ‘u cuntu della trattativa, non già tra i paladini di Carlomagno e i saraceni, ma tra lo Stato e la mafia. O meglio, come suggerivano i professionisti dell’allegoria, tra il capo dello Stato e il capo dell’Antistato. Ma che cos’è l’Antistato? Confesso di non raccapezzarmici. La parola ronza spesso nel dibattito pubblico, e vedo che ha una storia secolare: a frugare negli annali la si trova riferita ai partiti rivoluzionari, ai gruppi anarchici, al crimine organizzato, alle associazioni segrete; la si potrebbe inseguire fino ai primi anni Venti, quando la usarono, con intendimenti opposti, Benito Mussolini e Lelio Basso. Leggi il seguito di questo post »

Il testamento tradito di Gerardo Chiaromonte

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Chiaromonte“La frase più mostruosa di tutte: qualcuno è morto ‘al momento giusto’”, diceva Elias Canetti. Forse non mostruosa, ma certo terribile e vana, è anche la frase inversa: qualcuno è morto al momento sbagliato. Eppure, a rileggere oggi I miei anni all’Antimafia 1988-1992, il dattiloscritto incompiuto di Gerardo Chiaromonte pubblicato nel 1996 dall’editore Calice con prefazione di Giorgio Napolitano, si è attraversati a ogni pagina da quel pensiero insensato. Chiaromonte morì il 7 aprile del 1993. Dell’ultimo libro, e postumo, di un uomo pubblico si è soliti dire che è un testamento; si omette di precisare che un testamento letterario è, per definizione, un insieme di disposizioni che gli eredi si guarderanno bene dal tenere in conto.

Il tono dominante di quei ricordi della Commissione antimafia, che Chiaromonte presiedette nel periodo cruciale culminato con le uccisioni di Falcone e Borsellino e con l’avvio di Mani pulite, è il rammarico. Rammarico di chi vede il proprio partito – il Pci, poi il Pds – correre all’abbraccio con la Vergine di Norimberga delle avanguardie giudiziarie e delle loro appendici politico-giornalistiche. Se il memoriale del senatore migliorista è un documento così unico, è perché consente di assistere, passo dopo passo, a quella lunga discesa nel buio. Chiaromonte annota la sua “angoscia” – usa questa parola – quando una parte dei suoi compagni si accoda alla Rete di Leoluca Orlando nella campagna contro Falcone. E si avvilisce quando i dubbi del magistrato sul “terzo livello” politico di Cosa nostra provocano l’ira non solo di Orlando, ma “purtroppo anche di quegli esponenti del Pds che, in modo assai schematico, parlavano e sparlavano di cose di mafia”. Leggi il seguito di questo post »

La giustizia con le figurine

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grassocaselliLa scheda di Pietro Grasso sul sito ufficiale della Nazionale Italiana Magistrati lo descrive come “un centrocampista tatticamente molto attento”, e conoscendo il personaggio non si fatica a crederlo. Gian Carlo Caselli, il suo storico rivale nella corsa per la Superprocura, figura invece – avevate dubbi? – nel ruolo di centravanti di sfondamento. Il fantasista Antonio Ingroia non risulta tra i convocati, e non ce la sentiamo di biasimare il ct: tra dribbling inconcludenti (“non sto facendo un passo indietro, ma un passo di lato”) e imprecazioni lanciate all’arbitro, il pm della trattativa finirebbe per cincischiare davanti alla porta (“devo ancora decidere se tirare o non tirare”) o per farsi parare un rigore da Totò Riina. Non che ci sia una corrispondenza stretta tra tattiche processuali e tattiche di gioco, o tra correnti dell’Anm e schieramenti in campo nella Nim, ma la metafora calcistica torna utile via via che la campagna elettorale della stagione 2012-2013 comincia a prendere l’inedito aspetto di un “derby del cuore” tra magistrati. Ogni forza politica, a turno, pesca il suo straniero in toga, come nelle partitelle tra ragazzini. Tu hai Ingroia? E io mi prendo Stefano Dambruoso. Ah sì? E allora io scelgo Grasso. Alla fine tutti hanno il loro magistrato da tenere in panchina per il ministero della Giustizia, e vince chi mette in campo il più forte. Il Pd, con Grasso, ha fatto il colpaccio. Leggi il seguito di questo post »

Antropologia dell’antimafia. La primavera di Ingroia

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Se il comunismo, come voleva Lenin, è il potere dei soviet più l’elettrificazione, si potrebbe dire che per alcuni la lotta alla mafia è il potere delle procure più l’elettrificazione. Due sono infatti le categorie che adottano quotidianamente l’espressione “caduta di tensione” come parte del loro gergo professionale: gli ingegneri elettrici e i magistrati siciliani. Escludendo che al centro dei loro crucci sia l’insufficiente fornitura energetica degli uffici giudiziari, la luce che salta o le fotocopiatrici che si spengono di colpo, a quale tipo di elettricità alludono? Non sempre è chiaro, e la stessa formula può indicare cose diverse a seconda di chi la pronuncia. Lamentando un calo di tensione nella lotta alla mafia, per esempio, Falcone e Borsellino si riferivano spesso al grado di collaborazione delle istituzioni politiche, all’organizzazione e al coordinamento dell’attività delle procure, al rischio di adagiarsi sui successi ottenuti, tutt’al più a uno stato d’animo generale di scoramento. Quando a usare la stessa espressione sono Giancarlo Caselli, Roberto Scarpinato o Antonio Ingroia c’è un sottile ma decisivo slittamento semantico, e il senso è più vicino a quello che intendeva Eugenio Scalfari quando, nell’agosto del 1988, rimproverava Leonardo Sciascia per aver attaccato, con il suo articolo sui professionisti dell’antimafia, le “strutture che cercavano di mantenere alta la tensione pubblica contro la mafia”; dunque, essenzialmente, il Coordinamento Antimafia palermitano – un comitato di salute pubblica stupido e fanatico, agli occhi di Sciascia – e l’esasperato presenzialismo del sindaco Leoluca Orlando al suo primo mandato. Leggi il seguito di questo post »