Guido Vitiello

Posts Tagged ‘Silvio Berlusconi

Ultimo treno per la giustizia

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_Image0003Va a finire – non sarebbe la prima volta – che il più savio di tutti è un vecchio matto con gli occhi spiritati da sciamano e la coda di cavallo. Marco Pannella sta offrendo, con i referendum, il biglietto per l’ultimo treno. Non certo l’ultimo treno per Berlusconi, che non ha più neppure il passaporto, e il cui potente salvacondotto si è rivelato fantomatico più dell’arma segreta di Hitler. No, il fischio del capostazione annuncia l’ultimo treno per la riforma della giustizia, il solo salvacondotto che conti per l’Italia, il “grande veicolo” su cui salire tutti. L’ultimo, si badi: non ci saranno a breve altre partenze, e a quel punto toccherà farsela a piedi, e ci vorranno anni o decenni. Non si annuncia come un viaggio comodo: la destinazione è incerta, le rotaie dissestate, il percorso disseminato di strettoie, ponti scricchiolanti e carcasse lasciate a marcire sui binari. Ma è la sola via possibile, o almeno la più realistica. Perché se è vero, come ha scritto Angelo Panebianco, che un potere forte e unito (la magistratura) non si lascerà mai riformare da un potere debole e diviso (la politica), ne consegue che l’unica flebo per iniettare in tempi brevi vigore e legittimità al potere cagionevole è un mandato popolare inequivocabile. Leggi il seguito di questo post »

Date un’istitutrice a quei matti dei liberali

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GianninovCopertina2Chissà se Emmanuel Carrère getta un occhio alle cronache italiane. Dopo aver dato consacrazione romanzesca all’ergastolano Jean-Claude Romand, che si finse medico per decenni e una volta scoperto sterminò tutta la famiglia, l’autore dell’Avversario potrebbe incapricciarsi del nostro genio minore (e innocuo) dell’affabulazione e della millanteria, e offrire ad Adelphi il bestseller della prossima stagione: Gianninov. Sarebbe un buon risarcimento per la cattiva prosa che abbiamo dovuto scontare in questi giorni, per la spietata bonarietà di qualche collega maramaldo, la Schadenfreude piccina degli invidiosi, l’improvviso rigore di certi gesuiti che si sono scoperti, da un giorno all’altro, calvinisti. Forse solo Carrère saprebbe rendere giustizia – e giustizia poetica – alla malinconica follia di Oscar Giannino. A noi non resta che trarre dal suo caso qualche timida lezione, e cogliere l’occasione per mettere all’ordine del giorno un vecchio tema liberale: la pazzia.

Perché, vedete, nel piccolo mondo dei liberali italiani il caso Giannino è meno isolato di quanto si possa credere, e i lunatici sono gente di casa. Chiunque abbia frequentato circoli e circoletti liberali, riunioni di riviste benintenzionate morte prima del numero zero, assemblee fondative di comitati ambiziosissimi sciolti dopo un quarto d’ora per dissensi inconciliabili, conferenze semideserte su temi frizzanti come “Attualità di Nicola Chiaromonte” o “Il concetto di catallassi dopo F. von Hayek”, sa fin troppo bene di cosa parlo. L’austerità delle discussioni e la solennità delle sedi non basta a cancellare una sinistra atmosfera da freak show: c’è sempre, in queste occasioni, il diciottenne allampanato con la riga in mezzo e con la pipa; il tipo vestito da capo a piedi di velluto; quello che sul più bello, con naturalezza, tira fuori un orologio da tasca; quello con i basettoni rossicci e un bel basco messo di sghimbescio che mastica nervosamente un toscano mentre si accalora parlando di Malagodi. Tu li guardi e tremi al pensiero che da un momento all’altro, come nel film di Tod Browning, questi freak liberali si voltino sorridenti verso di te e ti accolgano cantilenando “One of us, one of us”. Leggi il seguito di questo post »

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febbraio 22, 2013 at 11:36 am

Turpitudini: Roberta De Monticelli e il pool “anime pulite”

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La custodia della propria anima – hanno ragione i Vangeli – è impresa più snervante delle pulizie di casa: tu fai una fatica ingrata per cacciar via a colpi di ramazza uno spirito immondo, ti distrai un attimo e quello si ripresenta mezz’ora dopo con sette altri demoni a imbrattarti i muri e gettare cicche per terra. Ma quanto si deve alloggiare bene, nell’anima linda di una filosofa morale studiosa di Agostino e di Platone! Parquet rilucenti dove si cammina con le pattine, niente televisori o altre diavolerie moderne, terrazzino con vista sul Mondo delle Idee, mensole dove stanno poggiate come anfore antiche le più sublimi maiuscole – la Virtù, la Giustizia, il Bene, il Bello – da spolverare di tanto in tanto con un piumino. Certo, c’è il problema degli inquilini del piano di sotto, che fanno un baccano infernale. Ma alla filosofa non è consentito tapparsi le orecchie: suo dovere è scendere in soccorso di quella gente grossa e triviale, perché – per dirla in parole semplici – “la fenomenologia ci chiede la massima fedeltà non solo al dato, ma alla sua essenza intuitiva, al suo eidos: e per coglierne la peculiare qualità assiologica negativa, il peculiare disvalore – non c’è verso – bisogna soffrire fino in fondo”. Ha sofferto tanto, Roberta De Monticelli, per scrivere, dopo La questione morale, La questione civile (Raffaello Cortina), per compilare la sua Antologia della Turpitudine (sic) e avviarci agli “esercizi spirituali del disgusto”.

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dicembre 10, 2011 at 2:08 am

Chi vuol salvare la propria faccia la perderà

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Judex ergo cum sedebit, quidquid latet apparebit. Quando il Giudice si assiderà, ogni cosa nascosta sarà svelata. Così annuncia il Dies Irae, e messa in questi termini la faccenda suona piuttosto minacciosa. Se però non ci lasciamo suggestionare da tutto quel kitsch medievaleggiante che abbiamo in testa a forza di codici da vinci e nomi della rosa, da tutte quelle schiere nere di monaci incappucciati che intonano il lugubre babau del gregoriano, capiremo che c’è poco da temere dal giorno del Giudizio: lassù nei Cieli le carriere sono separate dall’origine dei tempi, alleluia! Satana è, in ebraico, l’Accusatore, e come non bastasse deve chiedere il nullaosta al padreterno per avviare l’azione penale, che sia per tribolare Giobbe o per “vagliare i discepoli come si vaglia il grano”. Sul banco della difesa sta invece lo Spirito Santo, che il greco della Bibbia chiama il paracleto, e cioè l’Avvocato; dal che si deduce che la bilancia della giustizia ultraterrena pende alquanto sul lato della difesa. La terzietà del giudice non è assicurata, essendo questi tutt’uno con il difensore (è assicurata la sua trinità, che è cosa un po’ diversa). Un grande teologo volle pure ricavarne che, per grazia del divino garantismo, le carceri infernali potrebbero essere vuote, senza bisogno di amnistie a maggioranza qualificata. Così in cielo; quaggiù in terra le cose vanno a rovescio, almeno nella nostra aiuola: le carceri sono infernali proprio perché straboccano, l’accusatore e il giudice vanno assieme a braccetto al circolo del tennis e l’ingranaggio giudiziario ronza così spesso a vuoto che non sappiamo mai cosa partoriranno i suoi stridori, se la verità o l’errore. Leggi il seguito di questo post »

Invito a cena all’Olympia di Manet. Sui “Ritratti di pittori” di Walser

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“Il quadro è di Andrea Appiani e rappresenta il Parnaso, ovvero il bunga bunga del 1811. Quello là sono io, e questo si chiama Mariano Apicella”. Ecco, quando si tratterà di far capire qualcosa dell’Italia di Berlusconi a chi non c’era o a chi è arrivato tardi, scordiamoci pure delle mille barzellette improvvide o scemotte, ma non di questa didascalia fornita nel giugno scorso a Netanyahu ospite a Villa Madama, né dei pubblici biasimi che suscitò. C’è dentro tutto, ad avere occhi per vedere: il paradosso vivente di un Duchamp nazional-popolare (oggi il solo modo per salvare la Gioconda è farle un paio di baffi), la parodia di dissacrazione cui fa il verso una parodia d’indignazione, la carcassa vuota della solennità istituzionale abitata ormai da un’operetta alla Offenbach dove gli dèi ballano il can-can. Ma chissà che la battuta su Berlusconi e Apicella ignudi tra le Muse non dica qualcosa anche di Appiani e del neoclassicismo, e di quell’arte che riusciva a tenere assieme, come sul punto di scoppiare in una risata, il dio Apollo e Napoleone. Leggi il seguito di questo post »

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ottobre 23, 2011 at 3:38 PM

Ricordatevi di Brontolo

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Gongolo, Pisolo, Eolo… Li conti e li riconti, ne manca sempre uno. C’è una connaturata tendenza a ridurre i sette nani a sei. Ma la regola del nano omesso (aristotelicamente, regola del settimo escluso) trova applicazione anche in meno fiabeschi contesti. Si prenda l’ultimo libro di Paolo Rossi, Mangiare (il Mulino), un saggio di storia delle idee su cibo e civiltà. Come tutti i libri di Rossi, documentatissimo, autorevole, spiritoso. C’è un capitolo sugli scioperi della fame, e non manca proprio nessuno: le suffragette inglesi, il Mahatma Gandhi (e ci mancherebbe), Bobby Sands e i militanti dell’Ira, il dissidente cubano Guillermo Farinas, i digiuni nelle carceri turche. Ce n’è anche per l’Italia: lo sciopero della fame a rotazione annunciato nel giugno 2010 da centoventi parlamentari del Pd in difesa dei lavoratori Eutelia. E siamo a sei. Manca nessuno? Gongolo, Pisolo, Eolo… Rossi li conta e li riconta, ma il nome di Pannella proprio non gli viene in mente.

Se è un caso, non è isolato: capita anzi che Pannella sia spesso il settimo nano che manca all’appello. Un altro esempio? Il dibattito sul “corpo del capo”, sul ritorno della fisicità nella politica italiana. Sono usciti fior di saggi che ripercorrono il tema fin dalle antiche teorie della regalità e da I due corpi del re di Ernst Kantorowicz. Vi si discute molto di Berlusconi, dei suoi lifting e del suo priapismo. Si rievoca di conseguenza il priapismo di Mussolini, immortalato dall’impareggiabile Gadda. Si ragiona sulle foto di Moro nel bagagliaio della Renault 4, e su Pasolini, su Padre Pio, sul culto dei santi, sulle reliquie, sulla mummia di Mazzini. Manca nessuno? Gongolo, Pisolo, Eolo… Ancora lui: Marco Pannella. Poco conta che abbia messo il corpo al centro della politica mezzo secolo fa, che abbia candidato Luca Coscioni, che abbia fatto eleggere Cicciolina, che abbia messo in scena i nudi del teatro Flaiano. Poco conta che, nel 2002, l’Italia ottenne il plenum della Consulta perché un anziano leader aveva bevuto la sua urina in tv. Non c’è verso, la riflessione sul corpo nella politica italiana non passa per lui. Leggi il seguito di questo post »

All’onorevole piacciono le donne. Genealogia del bunga bunga

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All’onorevole piacciono le donne. D’accordo, direte voi, e dov’è la notizia? Questo però non è un onorevole qualunque. È il presidente del Consiglio, e aspira al più alto Colle. È applaudito da vescovi e cardinali. Eppure, non riesce a contenersi. Se gli capita a tiro una donna o qualunque cosa abbia figura di donna – uno scozzese in kilt, un curato in sottana – non ha freni: allunga la mano e palpa. Nei suoi sogni più sfrenati, il paradiso è un luogo dove bellissime ragazze nude si dispongono in schiera per farsi tastare il sedere, una dopo l’altra. Qualcuno gli raccomanda di farsi curare. Ma il telefono dell’onorevole è sotto controllo, e c’è chi lo ricatta con foto e filmati che documentano la sua incontinenza erotica. D’accordo, direte ancora: ma dov’è la notizia? La notizia è che quella che avete appena letto non è una sintesi del faldone di trecento pagine della Procura di Milano, ma la trama di un film con Lando Buzzanca: per l’esattezza, All’onorevole piacciono le donne (1972) di Lucio Fulci, uno dei capostipiti della «commedia sexy all’italiana» degli anni Settanta. È lì che dobbiamo tornare, per capire cosa sta succedendo. Leggi il seguito di questo post »

È il film del giorno

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gennaio 17, 2011 at 3:41 PM

“Tangheri! Macachi! Froci! Froci! Impotenti!”

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Dopo le ultime spacconate viriloidi del nostro, sono certo che qualche amico letterato avrà pensato al Mussolini erotomane ritratto da Carlo Emilio Gadda in Eros e Priapo e alle sue adoratrici, l’uomo che “giunse a far credere a codeste osannanti di essere lui il solo genitale-eretto disponibile sulla piazza”, cosicché “elle videro in lui il padrone, il verro che si sarebbe vautré sul loro inguine fremente di attesa”, mentre gli altri maschi erano “poltroni impotenti” regrediti a “eunucoidismo femminilizzante”.

Sarebbe, però, un pensiero troppo alto. Il vero padre culturale di questa nostra destra è, di tutta evidenza, Lando Buzzanca. Leggi il seguito di questo post »

Written by Guido

novembre 3, 2010 at 9:30 am